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Channel: Il blog di Sandro Rizzetto
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Abbigliamento invernale MTB economico

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01-IMG_8216Prendo spunto da questo bel post dell’amico Marco, che per ben quasi 20 anni ha fatto Appiano-Bolzano e ritorno in bici per andare al lavoro TUTTI i santi giorni e quindi se devo associare ciclismo e freddo, la prima immagine che mi viene in mente è lui sulla ciclabile con pioggia, vento, nevischio!

L’altro giorno, ci siamo sentiti via mail, e parlando dell’argomento in oggetto mi ha detto “Io metto quello che capita…Mai badato all'abbigliamento… anche perché tengo famiglia e certi prezzi per me non sono abbordabili.”

Ebbene il post ha il duplice scopo di esaminare cosa metto io nelle uscite invernali, che di questi tempi stanno diventando più numerose che in passato, e dimostrare che con capi “normali” (detto in parole povere “genere Decathlon”) e magari comprati fuori stagione in saldo non si spende un capitale.

Premessa: non sono qui a dimostrare che il capo super-tecnico, di marca e costoso è inutile… Anzi!! Sono convinto che nella maggioranza dei casi il prezzo che ci sembra folle è giustificato (dalla ricerca e sviluppo, dai materiali, dalla durata, ecc.); se siete ciclisti che vanno in bici tutto l’anno anche con temperature polari, investite sicuramente in pochi capi traspiranti che non vi fanno riempire di sudore e di conseguenza farvelo gelare addosso (insomma Endura in primis, Gore, Assos, Castelli o il materiale da sci alpinismo è il vosto pane).

Ma se siete come me, che solitamente tra fine ottobre e fine marzo tirate fuori la bici sporadicamente e diciamo nell’intorno dei 4-10 gradi, dei capi semplici e poco costosi fanno al caso vostro.

Disclaimer finale: io sono mooolto freddoloso. Quello che metto addosso io, probabilmente va dimezzato oppure a voi potrebbe andare ben con 10 gradi in meno. L’importante come in altri sport è vestirsi “a cipolla” per avere la possibilità di togliere/mettere a seconda del vostro feeling.

Intimo e calzamaglia

Sento già la prima critica: parli di economico e inizi con una maglia X-Bionic ?? È vero, la X-Bionic Energizer Mk2 non costa poco, ma si trova in saldo o nell’outlet di Noventa di Piave a cifre intorno ai 60€ e vi assicuro che sono i soldi meglio spesi. Io la uso da anni per lo sci (e la versione a canottiera per la mtb in estate) e dopo 1000 lavaggi sono ancora perfette. Non si inzuppano, non puzzano e la versione a maniche lunghe tiene molto caldo.

Per le gambe quando vado a sciare uso la sua calzamaglia abbinata, ma qui abbiamo il problema del fondello. Si potrebbe metterlo sotto (ricordatevi che il fondello va SEMPRE a contatto con la pelle e messo senza mutande!) ma temo non sia comodissimo. Al loro posto io indosso una calzamaglia Decathlon felpata, con un fondello non eccezionale ma neanche malvagio e che ha anche il gradito optional di un poco di protezioni sulle anche. Lo trovai in luglio (insieme alla giacca softshell) in un Decathlon a Brescia a 19€ e poi non l’ho più visto. Spero mi duri molti anni…

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Secondo layer

Sopra l’intimo metto spesso un pile leggero che anche ha uno strato antivento. Mi trovo benissimo con un capo della Quechua (Decathlon) che mi sembra di aver pagato 14€ o giù di lì. Lo uso molto anche in estate se si sale in quota e il tempo cambia. È molto slim-fit, dalla foto non sembra, e resta molto ben attilato. Ha gli inserti per i pollici in modo da non far entrare l’aria su per le maniche ma sotto i guanti stretti impugnando le manopole dà fastidio.

Sopra i pantaloni da ciclismo la maggior parte delle persone non mette niente (e giá così pedalando avrebbe caldo). Io invece infilo un paio di pantaloni da trekking della Montura che anche qui uso spesso in autunno per giri in quota (o nei bike-park visto che ci stanno sotto comodamente le ginocchiere o i parastinchi). Sono di un materiale e spessore che sono la via di mezzo tra il felpato e la tela leggera e sono anche molto resistenti in caso di cadute o strappi contro rami/alberi.

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Terzo Layer

Sopra il pile leggero se le temperature sono sopra i 10/gradi uso un gilet in soft-shell sempre Quechua. Quando però il freddo alle braccia si fa sentire, indosso un altro di quei capi che ho avuto la botta di fortuna di trovare in super-saldo (avete presente quando ci sono un paio di capi XS e altri XXL a prezzacci…). Per 19€ infatti ho trovato una giacca soft-shell della BTWIN che secondo me non ha nulla da invdiare a quelle stra più costose di altre marche famose (tanto per non fare nomi, ne ho una della Salewa, pagata scontatissima 99€ quando fanno la svendita di campionario che è molto inferiore).

Intanto si vede che è stata concepita per il ciclismo, in quanto è lunga dietro, ha i tasconi tipici sulla schiena, oltre a una comodo taschina con cerniera per il cellulare. Spettacolari sono le lunghe aperture tra braccia e ascelle quando si comincia a sudare e vogliamo far entrare un po’ d’aria. Insomma  un vero “bargain”.

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E sa fa freddo-freddo, soprattutto in discesa asfaltata o non tecnica dove quindi ci muoviamo poco o non riusciamo a pedalare?

Nello zaino o nel marsupio grande tengo sempre un piumino molto leggero e fino della Meru (altra casa low-cost) che si appallotola nelo suo sacchetto e occupa poco posto. Come quarto layer sopra i tre di cui sopra si diventa veramente no-frost!!

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Guanti

Le estremità sono sicuramente la parte che più si gela in quanto esposta al vento e che non si muove. Per quanto riguarda i guanti abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Io mi trovo molto bene con un paio di guanti invernali da ciclismo della Northwave che avevo preso superscontati su CRC quando ti arrivano quelle newsletter a cui non sai rinunciare. Ultimamente sto usando anche dei guanti della Ziener penso siano da  sci di fondo che avevo preso per le ciaspolate. Sono leggermente più grossi ma molto più caldi soprattutto per lo strato windstopper e si riesce a frenare senza problema e con un ottimo feedback.

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Feedback che non si ha invece con i normali guanti da sci che sono troppo grossi e diventano quasi pericolosi. In cantina ho trovato (penso fossero di mio padre perché sono 2 taglie piú della mia) un paio di questi che potrebbero andare bene per temperature molto sotto lo zero (soprattutto è bello che coprano gran parte del polso). All’estremo opposto se fa veramente poco freddo uso un guantino touch-enabled della The Northface (online si trova alla metà che in negozio).

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Calze e scarpe

Per le poche uscite che faccio comprare un paio di scarpe specifiche invernali (come ad esempio l’ottima Northwave Raptor) non è sicuramente il caso. Indosso quindi le mie vecchie abituali Fiveten Impact High che sono abbastanza calde ma hanno però il difetto di bagnarsi in un attimo e non asciugarsi mai. Per questo ho rispolverato un vecchio paio di Northwave Dolomite che avevo comprato ahimé a ridosso del cambio filosofia in merito ai pedali (da clipless a flat). Ho tolto ovviamente la placchetta e messo il suo inserto con la vite, ma la suola molto tacchettata in vibram non ha sicuramente una gran presa sui pedali flat. Di contro il Goretex che le equipaggia mi farebbe stare tranquillo se trovassi pozzanghere, fango o anche neve. La versione nuova sembra essere molto cara, mentre la mia vecchia che sarà fuori produzione la si trova a 1/3 del prezzo.

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Essendo scarpe non propriamente “moon-boot” ci va abbinata una calza calda. A step di temperature io indosso un paio di calze termiche corte sempre di Northwave, la maggior parte della volte unacalza lunga della Gore (non proprio ecomicissima, ma uno dei migliori acquisti che ho fatto) e se proprio voglio stare tranquillo una calza Polartec Lorpen in pile che si suda anche a -20!

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Testa e volto

Un Buff in pile non può mancare. Se preso originale della marca che ne ha dato il nome, può costare molto, io ho avuto la fortuna di trovarlo su Amazon a 9€ probabilmente perché è molto lungo, molto “piloso” e molto caldo, tutte caratteristiche che a me andavano più che bene. Difficilmente lo alzo sopra il mento a coprire bocca e naso (vuol dire che saremmo sottozero e non uscirei), ma per un ulteriore strato anti-maldigola è ottimo.

La parte superiore della faccia invece la copro con una maschera da sci con lenti trasparenti. In estate uso la maschera della POC che adopero d’inverno a sciare e che ha un doppio set di lenti (arancioni e bianche) ma quando non ho voglia di smontare le arancioni, uso un paio di goggles no-name presi molto tempo fa su CRC a meno di 25€. Che pur essendo molto grandi ci stanno benissimo sotto la visiera dell’ottimo casco MET Roam.

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Sotto il casco due opzioni: o una SkullCap di Endura che uso anche sotto il casco da sci (che però è imbottito ed estremamente più caldo), oppure ultimamente ho trovato dei capellini della VL Von Lamezan con una fascia in pile sulle orecchie ma il resto è un misto cotone/poliestere che non fa per niente sudare (al contrario di quelli di lana o solo sintetici). Sia al mercatino di Innsbruck che a quello di Bolzano li vendevano a 9.90€ e ne ho presi un bel po’ e ne sono contentissimo (penso andranno bene anche per le ciaspolate dove di solito o sudo o ho freddo).

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Conclusione

È famoso il detto “there is no bad weather, only bad clothing…”. E fondamentalmente è vero. Certo bisogna sempre considerare anche le altre condizioni, soprattutto del terreno. Se non fa freddissimo ma i sentieri sono comunque ghiacciati, pieni di duro fango o di rimasugli di nevicate, meglio aspettare la bella stagione. Ma in giornate come oggi, una Befana con un bel sole, 8/9 gradi e trail perfetti al limite un po’ troppo “fogliosi”, un bel giro in MTB nelle ore più opportune (testato oggi in pratica dopo averlo verificato teoricamente!) si può tranquillamente fare.

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La tecnologia nella vita di tutti i giorni, dal lavoro al tempo libero

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14ces-02Immaginiamo di poter scaricare tutte le foto del nostro ultimo viaggio in un notebook con un hard disk da 2 terabyte. E magari ritoccarle in un secondo momento, mentre le osserviamo in tranquillità su uno schermo da 17,3 pollici.

Fra qualche mese tutto ciò sarà possibile.

Poiché fra le tante novità in mostra al CES che hanno attirato l’attenzione di visitatori e addetti ai lavori c’era anche un computer portatile con le caratteristiche sopra elencate, cui dobbiamo aggiungere anche 64 gigabyte di RAM e la possibilità di cambiare (a nostro piacimento) alcuni suoi singoli componenti, come la CPU o la scheda video…

Da oltre cinquanta anni, correva il 1967 (siamo quindi coetanei…) quando esordì nella Grande Mela, il “Consumer Electronics Show” è un vero e proprio punto di riferimento per quanto riguarda l’elettronica di consumo. A riprova di ciò basta pensare che sotto la luce dei suoi riflettori si sono rivelati al grande pubblico il videoregistratore a cassette (1970), il Commodore VIC-20 (1980), il lettore di compact disc (1981), la console per videogame Xbox (2001), i televisori di grande formato con tecnologia al plasma (2005).

L’ultima edizione, andata in scena nella capitale mondiale del gioco d’azzardo, Las Vegas, fra l’8 e il 12 gennaio 2019, ha chiamato a raccolta oltre 4.500 espositori provenienti da 40 differenti paesi (c’era anche l’Italia).

Tantissimi i prodotti in mostra, molti dei quali busseranno alle porte delle nostre case o dei nostri uffici già nei prossimi mesi.

Perché è innegabile che le nostre abitudini stiano lentamente ma inesorabilmente cambiando e tutto, dal lavoro al tempo libero, sia sempre più connesso con le tecnologie di ultima generazione.

Lo raccontano anche i più recenti dati relativi al gioco d’azzardo online sui portali autorizzati dall’ADM, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, come per esempio è NetBet. La raccolta, valore che rappresenta l’ammontare complessivo delle puntate fatte dalla comunità dei giocatori, è passata dai 16,913 miliardi di euro del 2015 ai 21,331 miliardi di euro del 2016, per arrivare a toccare quota 26,932 miliardi di euro nel corso del 2017.

Una crescita che ha permesso alla cifra racimolata dall’intero comparto, offline più online, di sfondare la fatidica quota dei 100 miliardi di euro.

Non solo. Se fino a qualche anno fa chi voleva giocare da casa lo doveva fare accendendo il classico desktop, oggigiorno stando alla ricerca “Online Gambling” i due terzi delle puntate via Rete arriva da device mobili.

E proprio i tablet (da quelli pieghevoli in due o più parti a quelli su cui scrivere e disegnare con speciali penne) e gli smartphone (da quelli con schermi flessibili a quelli dotati di doppio display fronte-retro), due compagni di viaggio ormai indispensabili, sono stati fra i grandi protagonisti del CES.

Fotografia e poker: oltre il tavolo verde

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Photo by Neil Stoddart /All rights to PokerStarsSembra all’apparenza che tra poker e fotografia ci possa essere ben poco in comune. In realtà la varietà di aspetti mentali e psicologici e il pathos che si può rinvenire su un tavolo verde sono elementi che possono essere catturati solamente da una bella foto. La fotografia, stando a quanto detto da un famoso addetto ai lavori, Neil Stoddart, rappresenta il mezzo più adatto per la definizione e la cattura di tutti quei momenti di immobilità di cui il poker è ricco.

Stoddart è il fotografo ufficiale di tutti gli eventi dal vivo organizzati da PokerStars. Ebbene, fare una foto a dei giocatori professionisti di poker non è così semplice come potrebbe sembrare. I fotografi sono alla ricerca costante di nuove angolazioni e prospettive che possano esprimerli al meglio. L’obiettivo di chi comincia a fotografare durante delle gare di tale disciplina, però, dovrebbe essere quello di essere in grado di ricomporre tutto l’evento che si sta svolgendo.

Fotografare eventi in spazi chiusi

Piuttosto di frequente, questi tornei avvengono al chiuso o, in ogni caso, in luoghi in cui manca un po’ di luce. Per questo motivo il compito di un fotografo professionista è più complicato, dato che sarà necessario impiegare più tempo per individuare l’inquadratura e l’esposizione migliori. Senza dimenticare come non si possa usare nemmeno il flash, dal momento che è vietato dato che potrebbe portare distrazioni ai giocatori. Ecco, quindi, che fare delle belle foto durante una partita di poker diventa meno semplice di quanto messo in preventivo.

Il professionista trasforma le difficoltà in punti di forza

Neil Stoddart, fotografo ufficiale degli eventi di PokerStars, ora impegnata nella promozione della 200 miliardesima mano, sta facendo proprio questo. In realtà, quello che succede sul tavolo con le mosse dei vari player e i loro sguardi concentrati è semplicemente una parte di quello che viene descritto e raccontato tramite le sue foto. Infatti anche i paesaggi e le location sono una componente fondamentale di ogni suo racconto fotografico. Stoddart ha il merito di aver proposto un approccio creativo molto innovativo, in cui inserisce un ritratto al paesaggio per conservare un filo narrativo ben preciso. Ed è abbastanza facile intuire come l’unico legame possibile tra gli spazi all’interno e il paesaggio tutto intorno sia rappresentato dai giocatori. È chiaro come la parte più difficile per un fotografo è rappresentata dalla capacità di catturare gli stessi player con immagini pulite e chiare.

Photo by Neil Stoddart /All rights to PokerStars

I migliori consigli da seguire

Per scattare delle foto perfette,uno dei migliori suggerimenti da seguire è certamente quello di comprare delle lenti veloci e, soprattutto, tenere una mano più che immobile. Questo è l’unico sistema per affrontare e battere ogni tipo di problematica tecnica in tutti quei luoghi in cui vengono organizzati i tornei, derivanti in modo particolare dalla mancanza di sufficiente luce. Diventa fondamentale, quindi, avere quella prontezza di riflessi che serve davvero a cogliere l’attimo, tenendo bene a mente l’obiettivo principale, che è sempre quello di creare un’atmosfera che possa raccontare una storia, che non è solo quella che si sta svolgendo al tavolo.

Ebbene, lungi da forzare un giocatore a prestarsi alla telecamera, la vera abilità del fotografo sta nello scegliere determinati momenti senza infastidire il giocatore, mantenendo sempre il più alto grado di veridicità possibile. Tra le tante foto che sono passate alla storia scattate da Neil Stoddart ne troviamo alcune particolarmente espressive.

Basti pensare a Liv Boeree, che ha vinto l’EPT di Sanremo 2010, catturata in un’immagine significativa, mentre si copriva il volto, incapace di trattenere le emozioni di quel momento di incredulità e grande felicità per il grande traguardo appena raggiunto. È bellissima anche la foto di un altro campione come Andre Lettau, che è stato sorpreso con un’espressione decisamente più leggera e serena dopo aver appena trionfato. Interessante anche lo scatto che ritrae Jason Mercier con le braccia al cielo dopo aver messo le mani su uno dei primi grandi tornei della sua super carriera.

I comandi vocali sono davvero un improvement?

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Con l’uscita sul mercato della gamma di prodotti Echo di Amazon mi sono guardato diversi video riguardanti quello che si può chiedere o far fare all’assistente digitale Alexa.

Qui sotto ne vedete un certo numero e la cosa è abbastanza “impressive”:

 

Se il dispositivo è inoltre dotato di Hub ZigBee come lo è il modello maggiore (Echo Plus), è possibile impartire comandi per fare “compiere delle azioni” la più classica e sfruttata di tutte è l’accensione di una lampadina, così come di un termostato o di un altro device interfacciabile tramite le “Skill” (plug-in con cui è possibile aumentare le capacità di Alexa).

Escludendo le situazioni in cui la cosa può essere di aiuto ad esempio ad un disabile o ad un infortunato che non può alzarsi per azionare un interruttore, mi sembra che al momento sia più una cosa da nerd/geek che un vero e proprio progresso e cambiamento di vita.

Il tempo tra pronunciare il comando, attendere il lag dovuto alla trasmissione di rete che anche se minimo esiste e l’azione del comando vero e propria, confrontato a quello che può fare il click di un dito su un pulsante o un telecomando è notevolmente maggiore.

Se i comandi vocali sono utilissimi in macchina, dove è bene distrarsi il meno possibile, al momento in ambito casalingo/domotico ho qualche dubbio. Insomma, paghiamo per andare in palestra e fare del moto, e poi non abbiamo voglia neanche di alzare il c… dalla poltrona per spegnere la luce? Smile

Zaino fotografico Manfrotto MB MA-BP-GPM

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Lo ammetto: sono un accumulatore seriale di zaini e borse fotografiche! Non per una patologia compulsiva, ma in quanto perché cambiando o crescendo il corredo, ma soprattutto la tipologia d’uso, cambiano anche le esigenze e quindi trovare la borsa ideale come capienza, ergonomia, leggerezza, materiali, impermeabilità, ecc. non è sempre facile.

Come vedete dalla foto qui sotto quando devo uscire per uno shooting o affrontare un viaggio ho abbastanza l’imbarazzo della scelta. Dall’alto in basso e da sinistra a destra troviamo una vecchissima borsa dei tempi della reflex analogica come si usava una volta, la Tamrac Rally 6 (qui la recensione) per un corredo da viaggio breve, una piccola Canon per corpo e 2 piccoli obiettivi, il Manfrotto Offroad per le attività sportive, il Lowepro Computrekker AW che è lo zaino che uso maggiormente e che mi segue da molti anni, ed infine il “medio” Manfrotto MB MA-BP-GPM che è il soggetto di questa mini-recensione.

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Cosa mi ha spinto a comprare (su Amazon, dove si trova il prezzo migliore) questo zaino? Il target sostanzialmente sono i viaggi di una settimana o di week-end lunghi dove solitamente mi porto la classica “tripletta” 17-40, 24-105 e 70-200 oltre ovviamente al corpo macchina. Tale corredo ci è sempre stato anche nella borsa a tracolla (detta anche “messenger”) della Tamrac che però ha il difetto della scarsa comodità (peso solo su una spalla) e sul fatto che oltre al corredo fotografico ci sta poco altro.

Il Manfrotto invece offre spazio aggiuntivo nello scomparto obiettivi (ad es per caricatori, batterie, cavi, ecc. oppure per ampliare il corredo con altri obiettivi fissi o un flash a torcia), degli comodi scomparti interni per il kit pulizia, sacchetti antipioggia, memorie e soprattutto nelle due tasche anteriori molto spazio per tablet (o anche un notebook slim da 13”), kindle, smartphone, documenti di viaggio, cartine, portafoglio, ecc.

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La comodità di uno zaino con due comodi spallacci al posto di una cinghia a tracolla è indubbiamente un’altra cosa. Il peso a vuoto è molto contenuto, indossato sta ben attaccatto al corpo anche senza avere cinturini in vita o sullo sterno. Potrebbe forse risultare un po’ scomodo per persone alte in quanto tende ovviamente a gravare sulla parte alta della schiena e delle scapole.

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In conclusione sono molto soddisfatto dell’acquisto, l’ho portato in una recente vacanza a Lanzarote dove non c’è stato nessun problema di imbarco e di peso con una nota  compagnia aerea Low-Cost e viste le pessime condizioni meteo, ho potuto saggiare anche il rain-cover che viene incluso nella confezione.

Birre, selezioni sfondo e tavolette grafiche

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Oggi piú per noia che per altro, mi sono messo a fotografare una serie di 12 bottiglie di “Birra dal Mondo”, che mi sono regalato per Natale, più il cofanetto Forst gentilmente omaggiato dall’amico Gerald (questo di corredo alle recensioni di quando le berrò sul mio tag #birreBevute su Twitter). A parte la difficoltà intrinseca di gestire i riflessi  (cosa che non sono minimamente riuscito a fare), quando sono andato a vedere le foto non mi piaceva per niente il colore del tappeto sul quale avevo adagiato le bottiglie.

Per cambiare selettivamente un colore ad una parte dell’immagine non contigua, con la suite Adobe Fotografia abbiamo due possibilità: o usare in Lightroom un Adjustment Brush e poi lavorare su quella parte di foto che abbiamo “colorato” (es. desaturando) oppure in Photoshop usare una delle tante tecniche di selezione/scontorno, preferibilmente con una maschera.

La prima è estremamente veloce, soprattutto perché non staremo tanto ad andare sul sottile vicino ai bordi delle bottiglie; il massimo che ci potrà succedere infatti è che la desaturaziona o gli aggiustamenti che andiamo a fare sul brush si applichino anche a quella parte di bottiglia, ma la cosa non sarà minimamente percettibile guardando poi la foto finale.

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Diverso discorso se lo sfondo deve essere pesantemente modificato o addirittura sostituito con un’altra foto. Qui ci viene in aiuto Photoshop CC e il suo strumento “Select and Mask…” che ci consente di dare una rapida “sgrezzata” con lo strumento di selezione e poi di “rifinire” i dettagli con lo strumento di brush e di refine. Una volta creata una maschera è ovviamente sempre possibile andare a curare meglio i dettagli semplicemente colorando di nero o di bianco con lo strumento pennello (e con lo shortcut “X” per alternare i due colori si va via abbastanza velocemente).

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A questo punto ottenuta la maschera è possibile sul layer sottostante mettere la foto originale modificando colore o saturazione, oppure una foto totalmente nuova che verrà bucata dalla maschera.

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Il tutto è estremamente facilitato se si dispone di una tavoletta grafica invece che usare semplicemente il mouse.

Ultimamente ho sostituito una vecchia Wacom Bamboo che non aveva più il supporto di Windows 10 (cmq bestemmiando un po’ con i driver Windows 7 funzionava ancora) con una nuova Wacom Intous Small Bluetooth.  Il fatto di averla wireless è estremamente comodo e pratico ed inoltre quando non si usa funge da “tappetino” per il mouse (a proposito, ho finalmente trovato il mouse definitivo… Logitech MX Anywhere 2 che in versione Amazon costa molto di meno) e quando serve è subito pronta.

Il supporto alla pressione sia per quanto riguarda lo “spessore” di tracciamento, che l’opacità applicata si attiva mediante due icone sul pannello di tutti gli strumenti che supportano la pen-pressure. Per fare ciò è necessario che sia attivo il supporto a Windows Ink nel pannellino del driver Wacom.

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Purtroppo ciò non avviene in Lightroom, ovvero se attiviamo il supporto a Windows Ink per avere la gestione della pressione, molte volte disegniamo ma è come se non lo facessimo (non vediamo colorare di rosso la maschera, in pratica). E purtroppo anche scrivendo nei forum, vi è un rimbalzo di responsabilità tra Wacom e Adobe su di chi sia la colpa (strano che entrambe non l’abbiamo data a Microsoft…e comunque anche su MacOS sembra non essere esente da problemi).

Purtroppo in LR non funziona il “trucco” che era presente in Photoshop per avere il supporto alla pressione anche senza abilitare Windows Ink.

Bastava infatti mettere in C:\Users\[User Name]\AppData\Roaming\Adobe\<Photoshop Version>\<Photoshop version> Settings\  un file chiamato PSUserConfig.txt con queste due righe (la prima è un commento)

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Anche senza supporto alla pressione comunque poter disegnare una maschera con una penna invece che con il mouse è molto piú comodo e veloce e nonostante questa issue tra Wacom e LR, per i pochi soldi che costa, mi sento di consigliarne l’uso.

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I miei 2 cents sui social (aka why I quit Facebook)

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Facebook

why-i-quit-facebookTL;DR:

Ho chiuso il mio account .

Non sono il primo (anche tra i miei più cari amici c’è chi ci ha provato) e forse –lo dico subito- non è detto che dopo un periodo di disintossicazione non lo riapra.

Tutto è nato a fine ottobre quando a causa di un piccolo intervento ad un piede dovevo rimanere in convalescenza a casa. Dovendo passare tante ore sul divano con il laptop sulle gambe, avevo preso la decisione di non sprecare le ore extra-lavoro nello scorrere infinite timeline di socials, ma di dedicare il prezioso tempo che avevo a disposizione per arricchire il mio bagaglio tecnico con corsi online (Udemy soprattutto, ma anche ebook, blog, e tutorial Youtube). Alla fine dei 15 giorni, sapevo usare molto meglio Photoshop e Premiere, avevo approfondito parti di .Net Core,  avevo imparato tecniche di montaggio video e di colorimetria ma soprattutto… Fb non mi era mancato affatto!

Tra i motivi che il social di Zuckenberg ti propone quando decidi di disattivare il tuo account troviamo:

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A parte il punto 3 che è sicuramente vero (anche se bisognerebbe stabilire quanto è “troppo”), negli altri punti non ho trovato esattamente quello che provavo in quel momento e cercherò di spiegarlo invece qui.

Di sicuro NON per il “fattore privacy”: metto in piazza i miei fatti da più di 20 anni con questo sito, quindi sarei un pirla se me ne preoccupassi solo adesso. E neppure per il “fattore fakenews”: sono certo che dietro l’ascesa di certe parti politiche, in Italia come in USA, ci sia dietro l’aiutino di bot e campagne mirate, ma ho la presunzione di credere che le mie idee o orientamenti non sono così condizionabili da post o commenti.

Il “fattore noia” o “ripetitività” è invece sicuramente uno dei principali motivi. La leggenda metropolitana che noi vediamo solo i post di 25 amici è probabilmente una bufala, ma non si discosta molto dalla realtà. Il primo colpevole sono proprio io stesso e se penso alla monotonia delle mie timeline (foto di giri in bici o sciate per l’80% ) mi chiedo come a distanza di anni ci sia ancora qualcuno che avesse voglia di mettere like. Intendiamoci, i contenuti possono –e lo erano- essere anche super-interessanti e belli, ma dopo anni sempre quelli erano e solo vedendo il nome dell’autore potevo immaginare cosa stessi andando a leggere di lì a poco.

Il “fattore stupidità/ignoranza” per mia fortuna non era presente nei post degli stretti friend (ho la presunzione di scegliermi amici intelligenti!) ma lo era ampiamente nei commenti su fatti di cronaca o in quei pochi gruppi generalisti (es. seidise…) dove al terzo commento su un post di qualsiasi argomento si scatenava un flame. Di nuovo, perdere il proprio tempo a legger de stupiditate humanii, non era molto intelligente.

Il “fattore invidia” non l’ho mai negato. Ero conscio che certi miei contenuti (un giro in bici o un sellaronda fatti di giorno lavorativo) potessero scatenare invidia, ma ho sempre pensato “se vedere questa cosa ti fa rabbia, sei scemo a seguirmi o a usare FB”.  Nel momento dell’invalidità temporanea quando alla prima foto di una pista innevata ho realizzato di provare invidia, non ci ho pensato un attimo a chiudere baracca e burattini.

E gli altri social ?

Instagram

Su Instagram ho un account molto verticale dedicato solo ai giri in bici, ma penso sia il prossimo candidato alla chiusura. Essendo un amante della fotografia sembra strano che non sia un fervido utilizzatore o fruitore di questo social, ma lo amavo molto di più quando era solo un mezzo per pubblicare scatti istantanei fatti con lo smartphone. Oggi è evidente che moltissimi pubblicano foto realizzate con reflex o mirrorless e ampiamente post-prodotte; non che ci sia niente di male, sono il primo sostenitore della post-produzione che ritengo una parte essenziale e fondamentale dell’hobby delle fotografia. Solo che allora, se proprio voglio vedere belle foto di gente più brava di me, mi oriento su siti come 500px, il fu-Flickr o anche solo Juza dove per lo meno posso vederle a una risoluzione decente e con aspect-ratio umani.

E poi anche qui, per mia colpa che ho scelto di seguire pochi account e quasi tutti locals o associati al tema della MTB, sono sopraffatto dalla noia. Il Lago di Braies, la chiesetta della Val di Funes, le Tre Cime di Lavaredo e i panorami dell’Alpe di Siusi mi vengono fuori dal c… (scusate il francesismo), ma ripeto qui è solo questione di aver tempo e andarsi a cercare account extra-südtirol o extra-ciclistici (ogni volta che esce qualcosa del mitico Steve McCurry ho un sussulto di commozione…).

E poi, francamente, il discorso dei like e della notorietà mi ha sempre, non dico disturbato, ma almeno fatto sorridere. È noto infatti che per ricevere un sufficiente numero di followers e aumentare la popolarità del tuo canale, la qualità delle foto non è il primo fattore. Come ben spiega qui l’amico Walter, che per suoi meriti ampiamente riconosciuti (lo chiamo magister mica per niente) oggi viaggia a cifre da 3 zeri di like a foto, per conquistarsi una larga fetta di pubblico bisogna:

  • essere “verticali” ed avere un account che tratta un argomento specifico (e io con la mtb c’ero)
  • condire bene il tutto con commenti e hashtag ben scelti (e a fatica lo faccio)
  • passare almeno un mesetto a dare like in giro a destra e a manca (anche se la foto fa schifo) e followare persone che non sanno neanche farsi un selfie solo con l’intento del “contraccambio” (e qui mi sono sempre rifiutato, ed infatti non sono mai andato sopra i 70 like a foto :-) )

Cito testualmente la spiegazione che mi hanno dato di social engagement: “… tutte le volte che ti siedi sul cesso comincia a scegliere un tag, esempio #mtb e comincia a likeare tutto senza star neanche a guardare, fai lo stesso per altri 3/4 tag e vedrai che comincerai a essere followato e rilikeato. Non fare lo schizzinoso e metti like a tutto anche se le foto fanno cagare.”  (d’altronde sei sul cesso NdA)

È un po’ la vecchia storia dei forum sopracitati dove per farti guardare il tuo book sei costretto ad inondare altre foto di “uhh nice colors..”, “hmm great composition”, “wow, what a wonderful dof”. Signori, se lo vediamo in Black Mirror (Nosedive, S03E01), ridiamo e pensiamo che è distopia, ma è molto simile a quello che avviene nella realtà. E se lo scopo è arrivare ad un numero sufficiente di followers per farsi pagare dalle ditte (in denaro o in prodotti), non ci penserei due volte –pecunia o prodotti gratis da testare non olet- ma visto che il mio target e i miei skill (sia fotografici che di rider) mi avrebbero confinato al massimo ad avere un paio di centinaio di persone, anche no, grazie.

Twitter

Passiamo a Twitter. All’inizio lo usavo per qualche post tecnico, spesso in inglese, che mi serviva più come mio pro-memoria stile knowledge base (poi ho iniziato a segnarmele su evernote e fanculo lo sharing); successivamente è diventato il repository di mini-recensioni da 140 (adesso 280) caratteri di #filmVisti, #serieViste, #libriletti (e anche #birreBevute!). Gli stream sono comunque “grabbati” da un mio servizio che li storicizza e li pubblica sul mio sito, quindi gli orfani di FB di queste mie mini-reviews li possono sempre leggere qui.

La mia fruizione da lettore del social cinguettante è diventata più frequente negli ultimi anni, in quanto alcuni profili che seguo sono divertenti, interessanti, colti, scanzonati e soprattutto “di varia umanità” (dalla satira, alla scienza, dalla politica allo sport, dai gattini alla vita sociale quotidiana). Certo anche qui non bisogna fare l’errore di entrare nei commenti di un cinguettio perché è molto probabile che ci sia in corso una faida tra vari @napalm51 che si scannano tra tesi no-vax, terrapiattiste anti-pro-fascio-comunisti-leghisti-grillini-eilpdallora :-(

Linkedin

Infine LinkedIn, che ho da poco riscoperto, rivalutato e che mi auguro non venga depauperato e ridotto anch’esso come gli altri. Alcuni brutti segnali ci sono: se fate una ricerca “linkedin is not facebook” vedrete che già da un paio di anni c’è chi mette in guardia da una zuckenberghizzazione del social di microsoft e alcuni post di questi giorni in stile “you did a great job XXX [mettere nome di un collega]”  mi fanno giá venire i brividi. Io nel mio piccolo cercherò sul mio account di condividere nient’altro che “roba tennica” sia personale che inerente la mia società, evitando di sicuro meme, frasi da Osho o banner motivazionali che vedo vanno per la maggiore.

Insomma, anche se non sarò più su FB avete capito dove trovarmi. Di sicuro spero di tornare a scrivere di più qui sul mio blog, perché come disse Scott Hanselman in tempi non sospetti “blog more, tweet less…”

Il mio secondo anno con una e-bike

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Proseguo, anche con il titolo, la tradizione del bilancio riassuntivo inaugurata l’anno scorso con questo post.

E come l’anno scorso lo apro con le 100 immagini che ho scelto per raccontare il mio E-2018

 

La nuova bici: Cube Stereo Hybrid 160 Action Team

Ma come? dopo solo un anno cambi giá bici?

CUBE Stereo Hybrid 160 Action Team 500 27.5È stata una meditata decisione ma l’avvento di nuove geometrie e della batteria “nascosta” nel telaio (Powerpack Bosch) mi hanno fatto riflettere che la mia vecchia 140 Plus avrebbe perso troppo valore. Quindi o l’avrei tenuta per parecchi anni, oppure ci avrei perso troppi soldi nel momento del cambio (che avevo previsto col nuovo motore Bosch che è stato ritardato di una stagione). Se poi ci aggiungiamo che i 140mm con la geometria poco progressiva dei telai Cube erano spesso a fondo corsa (neanche pensare a drop seri nei bike park), che non ero contentissimo di freni e forcella e che il giocattolo nuovo era molto appetitoso, ad Agosto 2017 ho ordinato l’ammiraglia delle e-bike di Cube.

“Ma perché nella prima parte del video compare ancora la vecchia bici, se l’hai ordinata ad agosto?” si chiederà qualcuno… Perché è arrivata a Giugno 2018, ben 10 mesi dall’ordine, neanche fosse una Lambo Aventador con vernice personalizzata!

Non voglio addentrarmi in polemiche o discussioni su come il mondo del ciclo (e soprattutto delle e-bike) stia gestendo questo problema. Non è solo Cube l’indiziata numero uno, anche se il successo che sta avendo ingigantisce la cosa. Le voci che stanno dietro il mancato rispetto dei tempi sono molteplici: hanno sbagliato il telaio, hanno fallito dei test di sicurezza, hanno dovuto rifare lo stampo due volte, i telaisti a Taiwan non ci stanno più dietro, è colpa dei fornitori di qualche parte, ecc. Quello che so è che per i negozianti come il mio deve essere un vero stress continuare a dire al cliente che la KW (Kalenderwoche, settimana lavorativa) di consegna continua a slittare fino ad arrivare a ritardi di 6 mesi.

Comunque sia… alla fine la bici è arrivata e come di consueto, finché era pulita, le ho dedicato il suo bel photo-shooting.

Non voglio addentrarmi come l’anno scorso in una dettagliata recensione di tutte le parti, anche perché molte sono uguali (es. il motore Bosch CX, la trasmissione SRAM EX-1, lo stesso cambio di corona da 14T, ecc.). Qualche nota però vorrei lasciarla.

Sospensioni

01-DSC_0013_BURST20180711111653356Niente da dire sull’ammo Fox FLOAT DPX2 Factory EVOL. Non ho mai avuto grossi problemi con gli ammo Fox che ho sempre trovato burrosi e ben settabili per varie situazioni. I 20 mm in più dell’anno scorso si sentono eccome e ti danno un margine di sicurezza quando vuoi “saltare grosso”. Diverso discorso sulla forcella anteriore, una Fox 36 Float Factory FIT4 da 170mm.  Qui invece purtroppo non ci siamo proprio! Come da millenaria tradizione Fox “la forcella dell’anno prima fa schifo, ma vedrete che abbiamo risolto col nuovo modello!!”. Sono anni che lo leggo e sicuramente di anno in anno qualche improvement c’è. La forcella MY 2019 con la cartuccia GRIP che ho provato durante un test bike su una Trek era veramente tutt’altra cosa come attrito di stacco e come scorrevolezza nei primi cm. di escursione. La mia 36 Fit4 MY2018 è invece estremamente performante quando le velocità si alzano e gli ostacoli sono grossi, ma “sul piccolo”, “sul lento” è praticamente una hardtail e le vibrazioni che induce sullo sterzo rendono veramente spiacevole e quasi pericolose le discese di quel tipo. Ho chiesto a Fox se è possibile cambiare la cartuccia da Fit4 a Grip 2019 e per 500€ lo farebbero. Sono indeciso tra investire questa grossa cifra o provare con un tuning alternativo più economico come quelli di Andreani, Abs Fork o Luftkappe (il problema è trovare qualcuno che ci sappia veramente mettere le mani).

Freni

Dopo tanto penare e molti cambi di marca (Formula, Hope, Magura) ho finalmente trovati “I” Freni, con la F maiuscola. Shimano Saint BR-M820, Hydr. Disc Brake. Non penso che sulle prossime bici vorrò nient’altro che questi freni anche a costo di pagare l’upgrade! Potenti, modulabili, non fischiano, non fanno zinzin, la leva resta costante. Quello che insomma dovrebbe essere la norma, ma prima di arrivarci ci ho messo vari anni.

Ruote e Gomme da 2.6”

Schwalbe Magic Mary 2.60, Addix Soft, Tubeless Easy, Super GravityL’epoca delle gomme PLUS da 2.8” o 3” sembra sia durata ben poco. E me ne dispiace, perché per la stagione che le ho avute sotto il sedere e le mani ne ho beneficiato e goduto. L’effetto di deriva e di mancata precisione in curva io non lo sentivo per niente, ma la sicurezza che mi davano sul super-tecnico, sassoso smosso o lento era impagabile. Le 2.6” dicono essere il classico compromesso tra guidabilità veloce delle 2.35/2.5 e la sicurezza delle plus. Forse è vero, fatto sta che in certi passaggi molto arditi ho rimpianto di non avere la cicciona (s)gonfiata ben sotto 1 bar. E i tempi su Strava tra la vecchia plus e la nuova 2.6” non danno certo ragione alla “smilza”: siamo lì oppure addirittura vince la plus (oppure sto solo invecchiando e diventando un lentone!!). L’altro difetto imputato alle plus erano i loro fianchi di carta velina e la propensione a bucare spesso. Penso di non aver mai bucato o tagliato fianchi tante volte come quest’anno. La Schwalbe Magic Mary Addix Soft all’anteriore mi è piaciuta abbastanza, mentre la Nobby Nic di serie ha fatto qualche km per essere subito sostituita da una Maxxis DHR II Dual che pur avendo 60 tpi ho tagliato alla seconda uscita e che ho dovuto tenere spesso con la camera d’aria per problema di tenuta del tubeless.

Ho anche provato a montare dei vecchi 2.8” per vedere quanto differenza ci fosse, ma ho capito che è più il rim del cerchio che fa la differenza che non i 0.2”. I 40mm del vecchio DtSwiss rendono infatti i copertoni molto più panciuti e ciccioni del 35mm del nuovo Newmen Evolution SL.

A proposito…Dio stramaledica i progettisti del mozzo a cricchetti Newman!! Oltre a essere meno scorrevole di un mozzo shimano deore (fatta prova comparativa di quanti giri fa applicando la stessa forza) il RUMORE INFERNALE dei cricchetti della ruota libera è ASSORDANTE. Era così bello scendere nel bosco solo col rumore soft del carro che rimbalzava da un sasso all’altro, adesso sembra stia passando una motosega di qualche lumberjack!! Unico vantaggio… se davanti a te in lontananza trovi dei pedoni, ti basta smettere per un attimo di pedalare e ti sentiranno da un km! #fail

Reggisella

Dopo anni di Rock Sox Reverb, che non mi ha mai dato problemi, il passaggio a Fox Transfer Factory kashimato mi preoccupava. Invece è un signor reggisella, sempre pronto, scorrevole e con un’ottima ergonomia del comando remoto. E qui mi preme ancora una volta ringraziare tantissimo Lorenz e Arthur di Sanvit… il perché lo sanno loro ed è per questi particolari che rimarrò fedele al loro negozio finché mi sopporteranno (non c’è online che tenga in questo caso…).

Fox Transfer Factory 31.6mm, Kashima Coated

Guarnitura, pedali e scarpe

La bassa geometria delle ebike fa si che spesso si tenda a “zappare” con il suolo con i pedali ed ecco che tutte le case hanno ridotto di 10 o 15 mm la lunghezza delle pedivelle. Con i 165mm delle Race Face Aeffect non dico di non aver mai sbattuto su un sasso ma meno frequentemente dell’anno prima. E con il firmware Bosch 1.8 uscito a luglio (qui la mia recensione) il motore è stato ottimizzato per la nuova lunghezza ridotta. Sui pedali sono tornato per la terza volta su HT; dopo gli AE01 e gli AE03 ho montato degli AE05 leggermente più concavi. Non c’è questa grandissima differenza con i modelli precedenti, il grip e la pedalabilità abbinate alle scarpe giuste (ho preso le nuove Five Ten Impact Pro che finalmente hanno risolto il problema della scollatura della suola) sono al top!

htft

Batteria, consumi e peso

Bosch PowerTube 500Differenze tra la vecchia batteria esterna e la nuova Powerpack? Nei consumi nessuna. Certo oggi molte case stanno andando sui 700Wh che danno molta più libertà per giri lunghi (anche se sospetto che non aumenterei i km o i metri D+ ma che farei li stessi con livelli di aiuto maggiori). Per il mio peso piuma e la mia gamba i 500Wh sono più che sufficienti. In Tour ho un’autonomia virtuale di circa 2000D+ (420/430 mt precisi ogni tacca) che è un signor giro. E anche in turbo sparato i consumi non calano drasticamente come avrei immaginato. L’altro giorno per scaricare due tacche di batteria (Bosch consiglia di lasciarla in inverno con 3 tacche residue) ho dovuto impiegare più di 500m. D+ dandomi quindi un range di “un millino” alla massima potenza.

Quello che invece andrebbe molto migliorato nelle e-bike di oggi è il peso. Ormai stiamo raggiungendo pesi vicini ai 25kg per molte case (la mia in tg S penso si fermi un kg sotto ma non tanto di più) e la cosa è abbastanza ridicola se pensiamo che il sovrappeso di batteria e motore è circa di 7 kg (4+3). Ok aumentare le dimensioni strutturali del telaio (con molto alluminio in più visto gli spessori maggiori), ok usare componenti più “steiff” e duraturi, ma la mia vecchia enduro muscolare 27.5 era sotto i 12kg, quindi il margine a mio avviso per fare bici da 20/21kg c’è tutto. Non si tratta tanto di handling (che comunque si fa sentire), ma dell’impossibilità solo a pensarci di fare anche pochi metri di portage o di “spintage”… e questo purtroppo preclude l’organizzazione di bei giri alpini che magari hanno qualche passaggio non pedalabile.

Attività

Come si desume dalle mie statistiche, questo è stato il mio miglior anno in termini di numero di uscite, km, dislivello, ecc. A riprova ancora una volta del fatto, che con l’ebike si va di più. E se non bastasse la mia esperienza potrei portare quella di mia moglie alla quale ho preso una Cube Access Hybrid SL 500, una hardtail da 29”, con la quale ha fatto più di 1000km (prima era tanto se ne faceva 300) e soprattutto ci ha dato la possibilità di fare molti più giri insieme in posti dove non saremmo mai potuti andare con bici tradizionali (es. la lunghissima e dura salita da Ortisei all’Alpe di Siusi).

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Tra i giri “nuovi” fatti quest’anno per la prima volta mi piace ricordare il Sellaronda Antiorario (bello come il suo fratello), un bellissimo giro tra la Badia e la Pusteria grazie al nuovo bike-buddy Mauro, e un Rasciesa-Funes-Seceda con panorami da togliere il fiato.

Senza dimenticare il week-end lungo nel Mugello, splendidamente organizzato dagli amici Rob e Paolone (se volete organizzare un giro in Toscana, Bikemoodè una garanzia!)

Malga Brogles

Programmi per il 2019

Forse porta un po’ sfiga fare programmi visto che alla mia età basta un niente per incriccarsi e veder sfumati tutti i sogni… ma voglio lo stesso mettere qualche buon proposito per vedere tra 365 giorni quanti ne avrò completati (nel mio lavoro di responsabile qualità si chiama “piano degli obiettivi”)

  • Fare molte più giri “fuori porta” (approffittando del gancio traino e del porta bici che sta arrivando non ho piú la scusa del trasporto)
    • Tornare in Alta Venosta (Laces, Goldrano) dove non sono mai andato da elettrico
    • Vedere zone dolomitiche nuove
    • Andare sul Garda (Baldo, Altissimo, Punta Larici) dove vengono da tutta Europa e noi che ce l’abbiamo a un’ora di macchina non ci andiamo mai
  • Fare un altro w/e lungo di ride & food come quello toscano di quest’anno
  • Fare con Silvia l’Eroica Tour nel Senese
  • Migliorare la tecnica (magari con un corso)
  • Non farmi male :-)

BUON ANNO E BUONE PEDALATE!


Quali sono le ore più calde per uscire in mtb ?

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imageVisto che in questi ultimi giorni del 2018 ci sono temperature che definire miti è poco (17° a Bolzano il 31/12), mi è venuta voglia di inforcare la bici invece che infilarmi su piste da sci sovraffollate. E come spesso mi era accaduto in passato mi è venuta la curiosità di sapere “scientificamente” quali sono le ore migliori dal punto di vista del caldo vista la mia famosa “freddolosità” (a qualcuno che soffre il caldo può comunque venire comodo fare il NOT e usarla per uscite estive fresche).

Il primo problema era trovare i dati delle misurazioni di temperatura almeno con cadenza oraria, ma con mia grande sorpresa ho scoperto che il portale degli OpenData della Provincia di Bolzano, li fornisce addirittura con un sampling rate di 10 minuti! Qui trovate sia la documentazione delle API che i servizi REST che espongono in JSON sia le misurazioni in tempo reale, che quelle “storiche” a partire dal 1 agosto 2014.

Tra la lista delle 120 stazioni meteo censite ho scelto quella più vicina a casa mia (purtroppo nel mio paese non ce ne sono) che è quella di Pianizza di Sopra (codice 89190MS) che è posta a 495mt slm, (io sono a 400) ed è molto più vicina come clima ad Appiano che non la calda e afosa Bolzano.

Si è trattato quindi di scrivere due righe di codice per scaricare 4 anni completi di rilevazioni della stazione (ho omesso quella metà di 2014), non solo per quanto riguarda la temperatura, ma già che c’ero per tutti gli altri sensori presenti. 1 stazione x 4 anni x 365giorni x  144 rilevazioni giornaliere ogni 10 minuti x 9 sensori fanno la bellezza di 2 milioni e rotti di records. Mi viene voglia di scaricare tutte le stazioni per avere un db bello grosso con cui giocare  sulle performance, ma questa è un’altra storia.

A questo punto sono bastati “due colpi di PowerBi” (che è veramente la Self Service BI anche per la massaia di Voghera visto la facilità d’uso) per avere un quadro di massima su quale fosse l’orario migliore (più caldo) per organizzare un’uscita.

Qui sotto potete vedere i risultati (ingrandite a tutto schermo con l’icona in basso a destra di full screen) .

Considerando la media di 4 anni (che sono pochi per una statistica seria, ma comunque sono già abbastanza per evitare “anomalie” di un solo anno) l’orario più caldo medio annuo sono le 14:40 con 16.57°.

Risultato che mi sarei aspettato in estate, ma non nei mesi freddi dove pensavo fosse più caldo più vicino a mezzogiorno che non nel primo pomeriggio (come dico sempre “if not assessing, you’re guessing…”)

Se cliccate sui vari mesi in alto vedrete cambiare la curva shiftando di un’ora circa nei mesi caldi, ma sostanzialmente possiamo dire che l’intorno delle 15 è quello più propizio (per me!).

In realtà andando per controprova a cercare tutti gli orari che hanno totalizzato la MASSIMA giornaliera e facendo il COUNT si vede che il vincitore sono le 14.30. Questo probabilmente a causa dei “doppioni” (es. molti giorni hanno la stessa temperatura massima per più di 10 minuti consecutivi) che hanno avvantaggiato quel particolare orario.

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La stessa statistica sui mesi porta a questo risultato. NB: il webservice espone giustamente i dati con l'orario “reale”, ovvero CEST - Central Europe Summer Time con l'ora legale e CET con quella solare.

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A corredo delle statistiche delle temperature, potete giocare con gli altri sensori.

Interessante vedere (magari è cosa arci-nota agli appassionati di meteorologia quale io NON sono) come la curva dell’umidità sia quasi “in controfase” alla temperatura. O come cambia il vento (prendendo la stazione del Lago di Caldaro presumo si veda benissimo quando si può preparare la tavola da surf!)

Conclusione

Chiaramente non è solo la temperatura massima che determina il maggior (o minor per altri) confort. Bisognerebbe incrociare i dati con l’irraggiamento solare (es. oggi alle 14.30 la zona del Gleiff era in ombra ma probabilmente con temperatura molto maggiore delle 12 dove forse si stava meglio), con il vento e con l’umidità. Ma a questo punto dovrei passare la parola agli esperti come gli amici Giampaolo e Marco

Abbigliamento invernale MTB economico

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01-IMG_8216Prendo spunto da questo bel post dell’amico Marco, che per ben quasi 20 anni ha fatto Appiano-Bolzano e ritorno in bici per andare al lavoro TUTTI i santi giorni e quindi se devo associare ciclismo e freddo, la prima immagine che mi viene in mente è lui sulla ciclabile con pioggia, vento, nevischio!

L’altro giorno, ci siamo sentiti via mail, e parlando dell’argomento in oggetto mi ha detto “Io metto quello che capita…Mai badato all'abbigliamento… anche perché tengo famiglia e certi prezzi per me non sono abbordabili.”

Ebbene il post ha il duplice scopo di esaminare cosa metto io nelle uscite invernali, che di questi tempi stanno diventando più numerose che in passato, e dimostrare che con capi “normali” (detto in parole povere “genere Decathlon”) e magari comprati fuori stagione in saldo non si spende un capitale.

Premessa: non sono qui a dimostrare che il capo super-tecnico, di marca e costoso è inutile… Anzi!! Sono convinto che nella maggioranza dei casi il prezzo che ci sembra folle è giustificato (dalla ricerca e sviluppo, dai materiali, dalla durata, ecc.); se siete ciclisti che vanno in bici tutto l’anno anche con temperature polari, investite sicuramente in pochi capi traspiranti che non vi fanno riempire di sudore e di conseguenza farvelo gelare addosso (insomma Endura in primis, Gore, Assos, Castelli o il materiale da sci alpinismo è il vosto pane).

Ma se siete come me, che solitamente tra fine ottobre e fine marzo tirate fuori la bici sporadicamente e diciamo nell’intorno dei 4-10 gradi, dei capi semplici e poco costosi fanno al caso vostro.

Disclaimer finale: io sono mooolto freddoloso. Quello che metto addosso io, probabilmente va dimezzato oppure a voi potrebbe andare ben con 10 gradi in meno. L’importante come in altri sport è vestirsi “a cipolla” per avere la possibilità di togliere/mettere a seconda del vostro feeling.

Intimo e calzamaglia

Sento già la prima critica: parli di economico e inizi con una maglia X-Bionic ?? È vero, la X-Bionic Energizer Mk2 non costa poco, ma si trova in saldo o nell’outlet di Noventa di Piave a cifre intorno ai 60€ e vi assicuro che sono i soldi meglio spesi. Io la uso da anni per lo sci (e la versione a canottiera per la mtb in estate) e dopo 1000 lavaggi sono ancora perfette. Non si inzuppano, non puzzano e la versione a maniche lunghe tiene molto caldo.

Per le gambe quando vado a sciare uso la sua calzamaglia abbinata, ma qui abbiamo il problema del fondello. Si potrebbe metterlo sotto (ricordatevi che il fondello va SEMPRE a contatto con la pelle e messo senza mutande!) ma temo non sia comodissimo. Al loro posto io indosso una calzamaglia Decathlon felpata, con un fondello non eccezionale ma neanche malvagio e che ha anche il gradito optional di un poco di protezioni sulle anche. Lo trovai in luglio (insieme alla giacca softshell) in un Decathlon a Brescia a 19€ e poi non l’ho più visto. Spero mi duri molti anni…

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Secondo layer

Sopra l’intimo metto spesso un pile leggero che anche ha uno strato antivento. Mi trovo benissimo con un capo della Quechua (Decathlon) che mi sembra di aver pagato 14€ o giù di lì. Lo uso molto anche in estate se si sale in quota e il tempo cambia. È molto slim-fit, dalla foto non sembra, e resta molto ben attilato. Ha gli inserti per i pollici in modo da non far entrare l’aria su per le maniche ma sotto i guanti stretti impugnando le manopole dà fastidio.

Sopra i pantaloni da ciclismo la maggior parte delle persone non mette niente (e giá così pedalando avrebbe caldo). Io invece infilo un paio di pantaloni da trekking della Montura che anche qui uso spesso in autunno per giri in quota (o nei bike-park visto che ci stanno sotto comodamente le ginocchiere o i parastinchi). Sono di un materiale e spessore che sono la via di mezzo tra il felpato e la tela leggera e sono anche molto resistenti in caso di cadute o strappi contro rami/alberi.

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Terzo Layer

Sopra il pile leggero se le temperature sono sopra i 10/gradi uso un gilet in soft-shell sempre Quechua. Quando però il freddo alle braccia si fa sentire, indosso un altro di quei capi che ho avuto la botta di fortuna di trovare in super-saldo (avete presente quando ci sono un paio di capi XS e altri XXL a prezzacci…). Per 19€ infatti ho trovato una giacca soft-shell della BTWIN che secondo me non ha nulla da invdiare a quelle stra più costose di altre marche famose (tanto per non fare nomi, ne ho una della Salewa, pagata scontatissima 99€ quando fanno la svendita di campionario che è molto inferiore).

Intanto si vede che è stata concepita per il ciclismo, in quanto è lunga dietro, ha i tasconi tipici sulla schiena, oltre a una comodo taschina con cerniera per il cellulare. Spettacolari sono le lunghe aperture tra braccia e ascelle quando si comincia a sudare e vogliamo far entrare un po’ d’aria. Insomma  un vero “bargain”.

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E sa fa freddo-freddo, soprattutto in discesa asfaltata o non tecnica dove quindi ci muoviamo poco o non riusciamo a pedalare?

Nello zaino o nel marsupio grande tengo sempre un piumino molto leggero e fino della Meru (altra casa low-cost) che si appallotola nelo suo sacchetto e occupa poco posto. Come quarto layer sopra i tre di cui sopra si diventa veramente no-frost!!

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Guanti

Le estremità sono sicuramente la parte che più si gela in quanto esposta al vento e che non si muove. Per quanto riguarda i guanti abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Io mi trovo molto bene con un paio di guanti invernali da ciclismo della Northwave che avevo preso superscontati su CRC quando ti arrivano quelle newsletter a cui non sai rinunciare. Ultimamente sto usando anche dei guanti della Ziener penso siano da  sci di fondo che avevo preso per le ciaspolate. Sono leggermente più grossi ma molto più caldi soprattutto per lo strato windstopper e si riesce a frenare senza problema e con un ottimo feedback.

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Feedback che non si ha invece con i normali guanti da sci che sono troppo grossi e diventano quasi pericolosi. In cantina ho trovato (penso fossero di mio padre perché sono 2 taglie piú della mia) un paio di questi che potrebbero andare bene per temperature molto sotto lo zero (soprattutto è bello che coprano gran parte del polso). All’estremo opposto se fa veramente poco freddo uso un guantino touch-enabled della The Northface (online si trova alla metà che in negozio).

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Calze e scarpe

Per le poche uscite che faccio comprare un paio di scarpe specifiche invernali (come ad esempio l’ottima Northwave Raptor) non è sicuramente il caso. Indosso quindi le mie vecchie abituali Fiveten Impact High che sono abbastanza calde ma hanno però il difetto di bagnarsi in un attimo e non asciugarsi mai. Per questo ho rispolverato un vecchio paio di Northwave Dolomite che avevo comprato ahimé a ridosso del cambio filosofia in merito ai pedali (da clipless a flat). Ho tolto ovviamente la placchetta e messo il suo inserto con la vite, ma la suola molto tacchettata in vibram non ha sicuramente una gran presa sui pedali flat. Di contro il Goretex che le equipaggia mi farebbe stare tranquillo se trovassi pozzanghere, fango o anche neve. La versione nuova sembra essere molto cara, mentre la mia vecchia che sarà fuori produzione la si trova a 1/3 del prezzo.

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Essendo scarpe non propriamente “moon-boot” ci va abbinata una calza calda. A step di temperature io indosso un paio di calze termiche corte sempre di Northwave, la maggior parte della volte unacalza lunga della Gore (non proprio ecomicissima, ma uno dei migliori acquisti che ho fatto) e se proprio voglio stare tranquillo una calza Polartec Lorpen in pile che si suda anche a -20!

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Testa e volto

Un Buff in pile non può mancare. Se preso originale della marca che ne ha dato il nome, può costare molto, io ho avuto la fortuna di trovarlo su Amazon a 9€ probabilmente perché è molto lungo, molto “piloso” e molto caldo, tutte caratteristiche che a me andavano più che bene. Difficilmente lo alzo sopra il mento a coprire bocca e naso (vuol dire che saremmo sottozero e non uscirei), ma per un ulteriore strato anti-maldigola è ottimo.

La parte superiore della faccia invece la copro con una maschera da sci con lenti trasparenti. In estate uso la maschera della POC che adopero d’inverno a sciare e che ha un doppio set di lenti (arancioni e bianche) ma quando non ho voglia di smontare le arancioni, uso un paio di goggles no-name presi molto tempo fa su CRC a meno di 25€. Che pur essendo molto grandi ci stanno benissimo sotto la visiera dell’ottimo casco MET Roam.

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Sotto il casco due opzioni: o una SkullCap di Endura che uso anche sotto il casco da sci (che però è imbottito ed estremamente più caldo), oppure ultimamente ho trovato dei capellini della VL Von Lamezan con una fascia in pile sulle orecchie ma il resto è un misto cotone/poliestere che non fa per niente sudare (al contrario di quelli di lana o solo sintetici). Sia al mercatino di Innsbruck che a quello di Bolzano li vendevano a 9.90€ e ne ho presi un bel po’ e ne sono contentissimo (penso andranno bene anche per le ciaspolate dove di solito o sudo o ho freddo).

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Conclusione

È famoso il detto “there is no bad weather, only bad clothing…”. E fondamentalmente è vero. Certo bisogna sempre considerare anche le altre condizioni, soprattutto del terreno. Se non fa freddissimo ma i sentieri sono comunque ghiacciati, pieni di duro fango o di rimasugli di nevicate, meglio aspettare la bella stagione. Ma in giornate come oggi, una Befana con un bel sole, 8/9 gradi e trail perfetti al limite un po’ troppo “fogliosi”, un bel giro in MTB nelle ore più opportune (testato oggi in pratica dopo averlo verificato teoricamente!) si può tranquillamente fare.

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La tecnologia nella vita di tutti i giorni, dal lavoro al tempo libero

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14ces-02Immaginiamo di poter scaricare tutte le foto del nostro ultimo viaggio in un notebook con un hard disk da 2 terabyte. E magari ritoccarle in un secondo momento, mentre le osserviamo in tranquillità su uno schermo da 17,3 pollici.

Fra qualche mese tutto ciò sarà possibile.

Poiché fra le tante novità in mostra al CES che hanno attirato l’attenzione di visitatori e addetti ai lavori c’era anche un computer portatile con le caratteristiche sopra elencate, cui dobbiamo aggiungere anche 64 gigabyte di RAM e la possibilità di cambiare (a nostro piacimento) alcuni suoi singoli componenti, come la CPU o la scheda video…

Da oltre cinquanta anni, correva il 1967 (siamo quindi coetanei…) quando esordì nella Grande Mela, il “Consumer Electronics Show” è un vero e proprio punto di riferimento per quanto riguarda l’elettronica di consumo. A riprova di ciò basta pensare che sotto la luce dei suoi riflettori si sono rivelati al grande pubblico il videoregistratore a cassette (1970), il Commodore VIC-20 (1980), il lettore di compact disc (1981), la console per videogame Xbox (2001), i televisori di grande formato con tecnologia al plasma (2005).

L’ultima edizione, andata in scena nella capitale mondiale del gioco d’azzardo, Las Vegas, fra l’8 e il 12 gennaio 2019, ha chiamato a raccolta oltre 4.500 espositori provenienti da 40 differenti paesi (c’era anche l’Italia).

Tantissimi i prodotti in mostra, molti dei quali busseranno alle porte delle nostre case o dei nostri uffici già nei prossimi mesi.

Perché è innegabile che le nostre abitudini stiano lentamente ma inesorabilmente cambiando e tutto, dal lavoro al tempo libero, sia sempre più connesso con le tecnologie di ultima generazione.

Lo raccontano anche i più recenti dati relativi al gioco d’azzardo online sui portali autorizzati dall’ADM, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, come per esempio è NetBet. La raccolta, valore che rappresenta l’ammontare complessivo delle puntate fatte dalla comunità dei giocatori, è passata dai 16,913 miliardi di euro del 2015 ai 21,331 miliardi di euro del 2016, per arrivare a toccare quota 26,932 miliardi di euro nel corso del 2017.

Una crescita che ha permesso alla cifra racimolata dall’intero comparto, offline più online, di sfondare la fatidica quota dei 100 miliardi di euro.

Non solo. Se fino a qualche anno fa chi voleva giocare da casa lo doveva fare accendendo il classico desktop, oggigiorno stando alla ricerca “Online Gambling” i due terzi delle puntate via Rete arriva da device mobili.

E proprio i tablet (da quelli pieghevoli in due o più parti a quelli su cui scrivere e disegnare con speciali penne) e gli smartphone (da quelli con schermi flessibili a quelli dotati di doppio display fronte-retro), due compagni di viaggio ormai indispensabili, sono stati fra i grandi protagonisti del CES.

Fotografia e poker: oltre il tavolo verde

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Photo by Neil Stoddart /All rights to PokerStarsSembra all’apparenza che tra poker e fotografia ci possa essere ben poco in comune. In realtà la varietà di aspetti mentali e psicologici e il pathos che si può rinvenire su un tavolo verde sono elementi che possono essere catturati solamente da una bella foto. La fotografia, stando a quanto detto da un famoso addetto ai lavori, Neil Stoddart, rappresenta il mezzo più adatto per la definizione e la cattura di tutti quei momenti di immobilità di cui il poker è ricco.

Stoddart è il fotografo ufficiale di tutti gli eventi dal vivo organizzati da PokerStars. Ebbene, fare una foto a dei giocatori professionisti di poker non è così semplice come potrebbe sembrare. I fotografi sono alla ricerca costante di nuove angolazioni e prospettive che possano esprimerli al meglio. L’obiettivo di chi comincia a fotografare durante delle gare di tale disciplina, però, dovrebbe essere quello di essere in grado di ricomporre tutto l’evento che si sta svolgendo.

Fotografare eventi in spazi chiusi

Piuttosto di frequente, questi tornei avvengono al chiuso o, in ogni caso, in luoghi in cui manca un po’ di luce. Per questo motivo il compito di un fotografo professionista è più complicato, dato che sarà necessario impiegare più tempo per individuare l’inquadratura e l’esposizione migliori. Senza dimenticare come non si possa usare nemmeno il flash, dal momento che è vietato dato che potrebbe portare distrazioni ai giocatori. Ecco, quindi, che fare delle belle foto durante una partita di poker diventa meno semplice di quanto messo in preventivo.

Il professionista trasforma le difficoltà in punti di forza

Neil Stoddart, fotografo ufficiale degli eventi di PokerStars, ora impegnata nella promozione della 200 miliardesima mano, sta facendo proprio questo. In realtà, quello che succede sul tavolo con le mosse dei vari player e i loro sguardi concentrati è semplicemente una parte di quello che viene descritto e raccontato tramite le sue foto. Infatti anche i paesaggi e le location sono una componente fondamentale di ogni suo racconto fotografico. Stoddart ha il merito di aver proposto un approccio creativo molto innovativo, in cui inserisce un ritratto al paesaggio per conservare un filo narrativo ben preciso. Ed è abbastanza facile intuire come l’unico legame possibile tra gli spazi all’interno e il paesaggio tutto intorno sia rappresentato dai giocatori. È chiaro come la parte più difficile per un fotografo è rappresentata dalla capacità di catturare gli stessi player con immagini pulite e chiare.

Photo by Neil Stoddart /All rights to PokerStars

I migliori consigli da seguire

Per scattare delle foto perfette,uno dei migliori suggerimenti da seguire è certamente quello di comprare delle lenti veloci e, soprattutto, tenere una mano più che immobile. Questo è l’unico sistema per affrontare e battere ogni tipo di problematica tecnica in tutti quei luoghi in cui vengono organizzati i tornei, derivanti in modo particolare dalla mancanza di sufficiente luce. Diventa fondamentale, quindi, avere quella prontezza di riflessi che serve davvero a cogliere l’attimo, tenendo bene a mente l’obiettivo principale, che è sempre quello di creare un’atmosfera che possa raccontare una storia, che non è solo quella che si sta svolgendo al tavolo.

Ebbene, lungi da forzare un giocatore a prestarsi alla telecamera, la vera abilità del fotografo sta nello scegliere determinati momenti senza infastidire il giocatore, mantenendo sempre il più alto grado di veridicità possibile. Tra le tante foto che sono passate alla storia scattate da Neil Stoddart ne troviamo alcune particolarmente espressive.

Basti pensare a Liv Boeree, che ha vinto l’EPT di Sanremo 2010, catturata in un’immagine significativa, mentre si copriva il volto, incapace di trattenere le emozioni di quel momento di incredulità e grande felicità per il grande traguardo appena raggiunto. È bellissima anche la foto di un altro campione come Andre Lettau, che è stato sorpreso con un’espressione decisamente più leggera e serena dopo aver appena trionfato. Interessante anche lo scatto che ritrae Jason Mercier con le braccia al cielo dopo aver messo le mani su uno dei primi grandi tornei della sua super carriera.

Implementare una nuova photogalleries: gioie e dolori

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Era un po’ di tempo che avevo intenzione di rinnovare il mio motore di visualizzazione dei miei Foto Album a cui avevo messo mano qualche anno fa, ma che ancora non mi convinceva per la responsiveness sui device mobile. Ed inoltre il rendering sia della griglia che della foto era diversa a seconda dell’età del’album visto che all’inizio generavo thumbnails e foto a risoluzioni molto più basse.

Durante una giornata uggiosa ho preso quindi la decisione di trovare una libreria che mi piacesse e di implementarla dentro la mia architettura che si basa su pagine asp.net e un database mssql che contiene le oltre 12000 foto con i loro metadati, mentre i jpg veri e propri sono sul filesystem secondo una certa gerarchia di cartelle. Scriversela da soli? Non sono mai stato un amante di javascript/jquery e ci avrei messo troppo tempo, inoltre ormai implementare tutti i controlli cross-browser, cross-devices, gesture touch, infinite risoluzioni, retina/nonretina, ecc. è veramente un lavoro enorme e preferisco fare una donation nella speranza che l’autore retribuito porti avanti gli sviluppi.

Devo dire che la ricerca è stata piuttosto breve in quanto sono capitato quasi subito sulla libreria nanogallery2 che mi sembrava avere tutte le feature che mi servivano e soprattutto (cosa fondamentale) una buona documentazione.

Layout

Il primo scoglio o decisione da prendere è stato che tipo di layout implementare per la griglia; io finora avevo usato sempre una griglia con height fissa e width proporzionale ma dettata da un maxwidth non superabile; quindi le foto verticali venivano visualizzate correttamente (con lo spazio a lato), mentre i panorami veniva compressi con un brutto effetto estetico. Il numero di colonne era anch’esso fisso e settato a 4 e spesso la scelta delle foto e il loro ordinamento era dettato da ciò: ad esempio se avevo 4 foto dello stesso argomento, della stessa cromia o aspect ratio cercavo di metterle tutte sulla stessa riga; sono infatti sempre stato molto attento al fatto che una photogallery avesse sia un senso di racconto, che di aspetto estetico piacevole. Odio che i vari album di Google Photo o Amazon Photo privilegiano la data di scatto e gli album non hanno mai l’opzione “sort by name” .

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Il vecchio layout; la foto 2 è strechata, le verticali occupano lo stesso spazio avendo del bianco attorno

Dico subito che questo layout non sono riuscito a riprodurlo uguale con la nanogallery2; le opzioni sono infatti:

Grid = una griglia con width e height ben definite (es. 300x200); le immagini verticali e i panorami vengono tagliati prendendo la parte centrale; soprattutto per le “portrait” l’opzione non mi piaceva molto, si rischia infatti di avere un thumbail che non “inquadra” parti che fanno capire di cosa si tratta

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Cascading (detta anche Mansory): la width è prefissata e la height è calcolata: ne viene fuori un layout “disordinato”, con le foto non in riga, ma molto alla moda

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Justified: è quello che ho scelto io, ovvero height fissa e width autocalcolata; qui gli aspect ratio sono sempre rispettati, ma esteticamente varie foto verticali vicine tra di loro non sono il massimo.

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Una delle opzioni che avrei potuto percorrere è quella di generare i thumbnail che hanno width < height con del bianco ai lati fino a farli diventare simili alle foto 3:2 (che sono la stragrande maggioranza). Con il programma Fast Stone Resizer la cosa è possibile settando l’opzione Smart Filling (si può scegliere addirittura il colore del fill), ma purtroppo come vedremo in seguito non è scriptabile via batch.

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Scelta l’opzione del “meno peggio” mi sono scontrato subito con una feature mancante e un presunto bug. Intanto non è possibile mantenere il numero di colonne sempre fisso a 4, lo si può fare dividendo lo spazio totale del tuo div per quel numero e creando i thumbnail di quella dimensioni (es. spazio = 1170px, creando thumbnail da circa 290px lui le allinea 4 a 4). Sempre che non abbiamo vicine foto verticali o panorami e allora il conto fa a farsi friggere perché lui (tenendo fede al mode justify) farà sempre di tutto per farcene stare un numero sufficiente per riempire il div.

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Quindi tutto il mio certosino lavoro di anni di crere album “ottimizzati” per 4 a 4 è andato a farsi benedire!

Il bug a cui invece mi riferisco è relativo a due parametri chiamati thumbnailGutterWidth e thumbnailGutterHeight che dovrebbero servire a tenere le foto un po’ piú staccate (una specie di padding delle celle virtuali che contengono le foto). Io qualsiasi numero metta ottengo sempre risultati catastrofici! Quindi o non ho capito come si usa, o mi devo tenere le grid troppo impaccate.

Label e Album a più livelli

Per label, l’autore intende un titolo e una description che possono venir renderizzati uno sotto l’altro. Io la Description (che potrei prendere dal campo exif Caption di Lightroom dal quale estraggo tutte le informazioni) non la gestisco… è giá tanto se riesco a inventarmi un titolo. Ho pensato molto se farlo apparire anche sulla griglia, ma in alcune galleries i titoli sono tutti uguali, mentre altre li hanno così lunghi che verrebbe tagliato. Segnalo l’impossibilità di scegeliere font e colore ma solo fontsize (anche se un Arial bianco è quello che si vede meglio), mentre è possibile variare la posizione delle label dentro la foto o fuori.

Alla fine ho scelto al momento di non visualizzarle, ma ho predisposto il DB con un flag per decidere gallery per gallery se attivarle o no. Cosa che già faccio automaticamente per le gallery che sono album padre di sottogallery.

 

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Titolo con position “onBottom” eventualmente attivabile con un flag

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Un album padre di sottoalbum, con in automatico il nome dell’album child visualizzato con parametro “overImageOnBottom

La libreria supporta già la gestione di album e sottoalbum settando per ogni foto un id diverso (data-ngid) e mettendo nel parametro data-ngalbumid il suo album di riferimento. La mia struttura gerarchica di parent-child non era proprio adatta al rendering che ci sarebbe voluto per gestire tutto con la libreria. Per fortuna esiste un parametro chiamato data-ngdest che definisce la destination-url al click sul thumnail in luogo della visualizzazione della foto. Tramite questo parametro quindi le immagini che sono “la copertina” di un sottoalbum lo aprono invece che visualizzare loro stesse.

Lightbox della foto

Cliccando sulla griglia una thumbnail, la foto viene renderizzata su uno sfondo nero con molte possibilità di interazione. Io ho limitato togliendo vari comandi, sotto ho pulito tutto lasciando solo il Title, in alto a sinistra il contatore con il “play” dello slideshow automatico e in alto a destra i vari comandi di zoom, fullscreen, info e share.

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La navigazione, oltre allo slideshow automatico, avviene con le due freccie dx e sx ai lati della foto o con un swipe che su mobile ovviamente si ottiene con il touch.

Cliccando sulla icona i di info si apre un popup dove è possibile visualizzare i dati exif che sono stati passati dentro ogni tag <a href> che compone il record della foto.

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La struttura è già predisposta per contenere molti dati exif (data-ngexif*): non ho apprezzato che abbiano chiamato exposure quello che probabilmente intendevano essere il campo dove mettere il tempo di otturazione (era meglio un shutterspeed). Se si vogliono esporre più dati è possibile sfruttare il campo ng-customdata in cui si passa un dictionary key/value. Io l’ho usato per il tipo di lente, visto che la lunghezza focale non basta a farmi ricordare con che obiettivo ho scattato la foto.

Purtroppo l’impaginazione di questi dati era oscena: tutto su una riga, senza label e in ordine casuale… si riesce in un attimo a metterci mano, ma purtroppo toccando il sorgente js dovremmo ricordarcene in caso di nuove versioni (sarebbe stato bello un template esterno).

Rigenerazione Thumbnails

Come spiegato poc’anzi, per avere una buona probabilità che le griglia dell’indice abbia 4 foto devo avere dei thumbnails da circa 300 pixel di larghezza, mentre in precedenza erano di dimensioni inferiori. Per ricreare circa 12000 foto, sparpagliate in 470 folders era ovviamente necessario ricorrere a un software che potesse essere chiamato da riga di comando e scriptabile in un batch.

Purtroppo i due software che di solito uso per questo tipo di operazioni (il già citato FastStone e il vecchio ma sempre buono PixResizer), non hanno questa opzione e mi sono dovuto quindi rivolgere ad un tool che si è rivelato potentissimo e con una miriade di opzioni: ImageMagick.

Ci ho messo un po’ a capire l’esatta sintassi del comando, in quanto la versione 7 è completamente diversa dalla 6, ma per compatibilità con la versione legacy hanno lasciato alcune modalità della precedente; aggiunto il fatto che mezza documentazione si riferisce alla 6 e alcuna alla 7, si tirano un po’ di ostie… Inoltre essendo un tool nato sotto Unix il “gobbling” delle wildcard (come vengono espansi ad es un *.jpg) funziona in modo diverso sotto dos e quindi bisogna prestare attenzione da dove si lancia il comando

es. se sono nella directory “temp” che contiene due subdir images e preview una cosa del tipo

resize images\*.jpg  preview\*.jpg  non fa quello che ci aspetta ovvero prendere i jpg della cartella images e salvarli ridimensionati nella previews. Bisogna per forza ENTRARE nella images con un cd images e poi lanciare resize *.jpg  preview\*.jpg(pseudocodice, il comando non si chiama resize)

la sintassi corretta per fare un resize di tutte le foto con un’altezza fissa di 200px (e width calcolata) è questa

magick nomesource.jpg –resize x200 nomedest.jpg

ho scoperto che l’opzione –thumbnail al posto della –resize genera file molto più piccoli, infatti strippa tutte le informazioni non necessarie alla visualizzazione (exif, altri metadati, gps, ecc.)

Mettendo tutto in un batch che esplode tutti i file di una cartella si ottiene quindi  (le “ “ sono necessarie se i nomi dei folder o dei files hanno dentro degli spazi)

cd \root\…\nomealbum\images
for %%a in (*.jpg) DO magick "%%a" -thumbnail x200 "..\preview\%%a"

Batch che ho ovviamente generato in automatico dal database con una semplice query sql

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Lanciato il batch, in una 20ina di minuti 12541 foto sono state correttamente ridimensionate.

Conclusioni

Al momento sono abbastanza soddisfatto. La libreria offre moltissimi metodi di animazioni sia sulle transizioni che sull’entrata o sull’hover dei thumbnail. Non sono mai stato un grandissimo fan, dato che su device poco performanti rallentano molto la visualizzazione e alla lunga stanca, ma magari in futuro qualche cosina si potrebbe aggiungere.

Se la nuova visualizzazione vi piace (o vi fa schifo), trovate dei bug, o volete darmi un feedback, lasciate un commento qui sotto…

Gaming e comunicazione: quando il marketing incontra l’arte

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Photo by geralt / Pixabay License

Al giorno d’oggi, la comunicazione riveste un ruolo di fondamentale importanza: tra la televisione, la radio e soprattutto il web, l’impatto delle pubblicità è pazzesco e ci segue nella vita quotidiana. Così accade in ogni settore, compreso quello del gaming, che negli ultimi anni ha visto certamente salire in maniera esponenziale il numero degli spot pubblicitari. Si tratta di una statistica che è legata a tutte le piattaforme e che dimostra come si tratti di un mercato fortemente in fase di crescita.

Un settore, quello del gaming, che non può prescindere da una comunicazione efficace quindi, anche perché basti pensare come, solamente nel 2016, abbia generato un complesso di investimenti sui vari media pari a 71,6 milioni di euro. Confrontando tali dati con quelli dell’anno precedente, si può facilmente capire quanta sia stata evidente la crescita.

Gaming e marketing, la crescita del comparto pubblicitario

Stando ad una ricerca effettuata da Agimeg, la tv è rimasta per tanto tempo il canale preferito dell’industria del gaming, ma adesso chiaramente la pubblicità sul web, social compresi, spiccherà sicuramente il volo. Il contenuto dei vari spot pubblicitari, però, è cambiato notevolmente nel corso degli anni, frutto di una vera e propria evoluzione. La disponibilità economica non è mai stata un problema e tante piattaforme hanno scelto di investire in maniera importantissime sul marketing. L’obiettivo, spesso e volentieri, è stato quello di creare la miglior combinazione possibile tra il normale advertising con delle storie a tutto tondo, in modo tale che tutte le persone intente a guardare la pubblicità potessero immedesimarsi con le stesse. E, di conseguenza, originalità e divertimento hanno rappresentato da sempre due peculiarità evidenti delle pubblicità nell’ambito gaming. Spesso e volentieri, la tematica principale degli spot pubblicitari è rappresentata dal legame e dall’identificazione tra gioco e vita, con il risultato di creare delle produzioni davvero molto originali e in grado di sorprendere gli utenti. Insomma, una vera e propria arte a tutti gli effetti.

Personaggi famosi e spot pubblicitari

Nel corso degli anni, diversi personaggi famosi si sono prestati ad apparire in televisione piuttosto che sul web o sui giornali per rappresentare una determinata piattaforma di betting. Tra i vip che hanno associato il proprio nome a qualche compagnia ben nota troviamo sicuramente Gianluigi Buffon, ma anche un altro grandissimo calciatore come Francesco Totti. Tutto qui? Assolutamente no, dal momento che l’elenco è bello lungo e ha visto, nel corso degli anni, anche Del Piero, Sacchi e Miccoli prendere parte a degli spot pubblicitari che hanno avuto più o meno successo. Tra gli spot pubblicitari più belli mai andati in onda nel settore pubblicitari, quelli di Adidas e Nike certamente si spartiscono i primi posti: ambientati in scenari pazzeschi, come ad esempio il Colosseo, e con la partecipazione di star di primo livello, l’effetto finale è stato veramente da oscar.

Prodotti per la pulizia della MTB

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Quest'anno penso di aver perfezionato il mio workflow di pulizia bici e di aver scelto definitivamente i prodotti migliori da usare. Diciamo subito che non sono uno di quei maniaci che la puliscono dopo ogni uscita. Se il meteo è secco e la bici non si infanga pulisco ogni 2 o 3 volte la catena con una secchiata d'acqua in garage sopra un tombino e applico l'olio come descritto più avanti. Se invece durante il giro ho beccato fango e pozzanghere, mi reco al vicino distributore con solo un paio dei sottostanti prodotti (una spazzola, il Cycle Cleaner e il Drivetrain Cleaner), la lavo con l'idropulitrice, una veloce asciugata e poi torno in garage e finisco l'opera con la bici montata su un cavalletto cinese tipo questo.

Come dite? l'idropulitrice non si deve usare?! Avete perfettamente ragione, ma purtroppo a) non dispongo di giardino o cortile con pompa dell'acqua o un rubinetto per questi cosi, b) il mio distributore per fortuna ha una lancia di quelle che per avere la massima potenza e pressione devi premere una specie di grilletto, mentre lasciandola normale la pressione e nebulizzazione sono molto deboli e paragonabili alla canna da giardino. Inoltre sto sempre molto lontano e nella zona motore (soprattutto nei Bosch gen2 che ha un misero o-ring di protezione) punto l'acqua come se venisse dall'alto e mai verso il movimento centrale.

Se proprio avete timore di incorrere in un danno ai cuscinetti interni, usate un trucco che ho imparato dall'amico Marco: una vecchia camera d'aria fina da bici da corsa tagliata e avvolta per qualche giro nella zona pignone/motore.

 

Come vedete nella foto sottostante ho scelto già da qualche anno i prodotti della linea Muc-Off che ritengo un'ottima marca e anche attenta all'ambiente (sono tutti biodegradabili e quindi se qualcosa se ne va giù per il tombino non crea grosso danno).

Seguitemi nella carrellata e nel mio workflow.

Pulizia generale e trasmissione/catena

Come dicevo prima in caso di fango o comunque di bici sporca un po' dovunque dò una prima sciacquata, spruzzo dovunque (anche su dischi e pastiglie) il Cycle Cleaner che compro in formato da 5L e mi dura un paio di stagioni, spruzzo su catena, pignoni, cambio e corona anteriore il Drivetrain Cleaner, faccio "decantare" per qualche minuto e poi sciacquo abbondantemente con l'acqua. È difficile che mi serva una spazzola, di solito la sola (bassa) pressione dell'acqua basta a portare via tutto lo sporco. Al limite comunque, se avete un telaio con punti sfigati dove si annida lo sporco, una piccola spazzola presa dal set da 5 scovolini può essere utile. Prima del Drivetrainer liquido, ho usato per un certo periodo il Chain Cleaner spray; questo è adatto solo alla catena ed è molto più potente del precedente (scioglie il grasso come 10 chante clair e lo consiglio su quelle catene che non pulite da moltissimo tempo bello incrostate). Sempre in passato usavo quei tool di plastica da riempire di acqua e detergente e poi far girare dentro la catena; non li trovo per niente comodi (si stacca spesso qualche parte e per Murphy mi cade sempre giù nel tombino!) e li ho sostituito con questa fantastica spazzola Grunge della Finishline che è perfetta ed ergonomica. Con quella spazzolina/tool che vedete in basso a destra ricordatevi di pulire bene le due puleggine della gabbia del cambio posteriore e (tolta la catena dalla corona anteriore) la parte tra corona e ruota dentata del motore sul movimento centrale. 

Nel caso di contaminazione dei dischi un ottimo prodotto per pulirli (oltre all'alcol) è il Disc Brake Cleaner che viene molto utile anche se il vostro impianto frenante è rumoroso. Anche qui, spruzzate su tutto il disco (conviene togliere la ruota dal telaio per operare meglio), lasciate riposare un paio di minuti e poi asciugate col panno.

Lubrificazione

Una volta ascgiugata la bici del tutto (a proposito, investite 1 € a straccio in questi panni in microfibra invece di usare vecchie canottiere di 20 anni fa...) è tempo di lubrificare alcune parti. La catena è ovviamente una delle prime cose e il metodo giusto è quello di dare UNA goccia a ogni maglia della catena usando un olio dry o wet a seconda della stagione. Io non esco quasi mai in inverno o con la pioggia quindi compro solo oli per asciutto come il Dry Lube; ovviamente esiste anche la versione Wet, quella ceramica e addirittura quella specifica per Ebike (che mi sa tanto di "è uguale alle altre ma scrivi ebike e facciamolo pagare di più..."). Bonus Tip: è molto importante dopo aver dato l'olio, prendere un pezzo di Scottex/Tutto, avvolgerlo con la mano intorno alla catena tenendolo con due dita sulla parte verticale della catena e dare due o 3 giri di pedalate per togliere tutto l'eccesso di olio che altrimenti attirerebbe un sacco di polvere e altre schifezza rendendo la catena più sporca di prima giá al primo giro.

 

Successivamente passo al MO94, un lubrificante PTFE multi uso che serve sia per disperdere l'acqua in eccesso che soprattutto a lubrificare le parti mobili (tutti gli snodi del carro, i pedali, le parti della trasmissione, le bielle di attacco dell'ammo, la serie sterzo, ecc.); state solo attenti a non dirigere lo spruzzo verso le pastiglie (sarebbe sempre meglio operare con le ruote smontate ma non sempre ne ho voglia e quindi spesso ci avvolgo intorno uno panno anche se so giá che prima o poi butterò via un po' di soldi per queste Covers...). 

Sugli steli del reggisella, dell'ammo posteriore e della forcella uso invece il Silicon Shine che può comunque essere usato anche su altre parti metalliche, plastiche o gommose per preservarne la lucentezza. Sa anche un "buon" (de gustibus) odore di Big Babol alla Fragola :-) Ultimamente solo sulla forcella anteriore uso un prodotto ancor più specializzato (l'unico non Muc Off) che si chiama Brunox: si spruzza un po' sugli steli e lo si lascia colare fin dentro i paraoli che vengono così lubrificati e non si seccano.

Protezione finale

Al posto del citato Silicon Shine che una volta usavo su tutto il telaio, adesso applico alla fine di tutto il processo il Bike Protect, un prodotto che crea un velo superficiale dando lucentezza e (dicono) evitando che lo sporco e la polvere si attacchino. Anche lui ha un buon profumo e per qualche minuto ti sembra di avere la bici nuova come tirata fuori dal negozio.

Il tutto sembra una cosa molto dispendiosa in termini di tempo, ma vi assicuro che quando ci fate la mano in mezz'oretta ve la cavate. Non è ovviamente solo una questione di avere la bici pulita e in ordine ma si tratta di una vera e propria manutenzione preventiva che vi assicuro vi allungherà la vita dei componenti e renderà meno probabile qualche rottura sui trails. Io per anni non facevo mai niente, ma ero molto più spesso dal meccanico per noie di ogni tipo. Inoltre durante le operazioni di pulizia magari ci si prende quei 5 minuti per dare un'occhiata con una brugola o una torx ai vari serraggi di boccole, pinze dei freni, serie sterzo, ecc., controlli che non dovrebbero mai mancare se vogliamo scendere tranquilli dai nostri sentieri.

Buona pulizia e soprattutto buone pedalate!

 


Loupedeck+ la console per editing foto con Lightroom e non solo

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Circa due anni fa (come scrivevo in questo post) ho iniziato ad usare una console MIDI con pulsanti e potenziometri per velocizzare il mio workflow di sviluppo RAW. Purtroppo dopo qualche tempo, il seppur buono controller Arturia ha iniziato a dare qualche problema e un po’ alla volta 3 o 4 knob (le rotelline) hanno iniziato a “deteriorarsi” e a non interpretare più correttamente i comandi dati dal plugin MIDI2LR (io penso che tenendolo sempre attaccato alla usb e quindi sempre alimentato non gli facesse così bene e si sia danneggiato qualche componente elettronico).

Visto che era molto tempo che la mia personale “scimmia sulla spalla” mi rompeva le scatole per la più professionale Loupedeck+, ho dovuto “killarla” e procedere all’acquisto.

Inizio subito col dire che il supporto pre (e anche post) sales al quale ho fatto un sacco di domande è stato sempre puntuale, rapido e preciso nel rispondere a tutti i miei dubbi (ovviamente in inglese visto che la casa produttrice è finlandese) e questo è già un gran vantaggio al posto di soluzioni custom-made.

Per i TL;DR ecco un abstract:

La console è un vero improvement rispetto agli encoder MIDI adattati, velocizza e migliora il workflow di sviluppo, ma non è del tutto esente da difetti e per il prezzo pagato ci si potrebbe aspettare di più.

Features Principali

Se stai leggendo queste righe probabilmente sai già come queste console funzionano e a cosa servono, quindi evito di scrivere cose scontate. Dico solo che la precisione dei knob è molto elevata, si riesce a variare i livelli di un singolo punto (es. i blacks/whites) e di 0,05 l’esposizione, cosa che con il mouse risulta difficile avere tale granularità (2 in 2 o maggiore). I comandi sono molto ergonomici e dopo poco si trovano anche “al buio”, le rotelline per i controlli HSL non sono “continue” ma hanno un microscatto che è un po’ fastidioso a livello acustico (se sviluppo mentre la moglie guarda la TV sento improperi…).

Sia i knob che le rotelle verticali possono essere premuti per resettare il valore sottostante a zero. Il grande Control-Dial è stato destinato nel modulo Develop alla variazione d’angolo di Crop funzione che si attiva iniziando la rotazione o premendo con molta (troppa) forza il grande knob.

Due bottoni (--/Col e Clr/Bw) servono da switch-toggle; con il primo i 5 tasti di Rating cambiano da “stelle” (sulla tastiera tasti da 0 a 5) a “colori” (flag by color red/yellow/green/blue/purple, ovvero 6,7,8,9,_). Il secondo invece, se abbiamo trasformato la foto in bianco e nero, svolge le stesse funzioni del pannello che prende il posto del HSL ovvero le 8 rotelline fanno da mixer B/W.

 

N.B. nel proseguo dell’articolo mi riferirò ad alcuni comandi o shortcut da tastiera: preciso che io uso la versione inglese di Lightroom CC Classic, quindi se usate una versione localizzata potrebbero non corrispondere.

Personalizzazione

Come vedete dalla foto, si hanno a disposizione 9 tasti (L1…L3 + C1…C6) e due knob (D1,D2) personalizzabili con le funzioni messe a disposizione dal SDK di Adobe. Dico questo perché spesso ho chiesto al supporto se fosse possibile avere il tal comando e la risposta è sempre stata “there is no SDK support for this command”. Un esempio di comandi mancanti è l’accensione/spegnimento del red overlay nelle maschere (comando “O”) oppure i due comandi “A” e “X” nel modulo di Crop (rispettivamente lock/unlock aspect ratio e lo switch portrait/landscape). A mio avviso sarebbe stato molto più intelligente da parte di Loupedeck prevedere di poter dedicare a un tasto un keystroke specifico (ancora più smart sarebbe stato avere a disposizione un editor di macro da programmare con una sequenza di tasti come faceva il software Free MIDI2LR).

I tasti e i knob sono personalizzabili in modo diverso a seconda del modulo in cui ci troviamo, limitatamente a quelli di Library e Develop. Quindi ad esempio il tasto X può essere il comando “Flag Pick/Unpick” se sono in Library, o dare il comando “Auto Tone” se sono in Develop. Devo dire che dopo un po’ di mesi di utilizzo i comandi che ho “sdoppiato” non sono moltissimi, perché se ci si è abituati a usare un tale tasto per una funzione (es. Zoom, Show overlay, ecc.) è comodo averlo in entrambi gli ambienti. Ovviamente alcune funzioni sono utili solo in uno dei moduli (es. Show Clipping per vedere alteluci e ombre bruciate, ha senso solo in Develop mentre si sviluppa) e quindi ha senso avere questa divisione.

Inoltre tramite un tasto Fn l’uso (e la personalizzazione) dei 15 tasti Lx,Cx,Dx e dei 2 knob Dx può essere raddoppiata, quindi teoricamente abbiamo a disposizione 30 tasti.

I knob di default non hanno un secondo uso con l’Fn, ma esiste un bottone “Custom Mode” che estende l’uso degli 11 basic Dial (esclusi quindi i D1, D2) ad ulteriori funzioni. Ad esempio accendendo il toggle Custom mode (il led vicino vi indica se è attivo) il Dial Exposure funziona da Sharpen Amount e Fn+Exposure da Sharpen Radius. Carino il fatto che i 4 knob shadows/highlights/blacks/whites abbiano gli stessi significati ma invece agiscano sulle curve e noi sui basic tones.

Oltre ai 9 tasti citati Lx+Dx, in alto ne sono presenti altri 8 (P1…P8) che però è stato -imho molto stupidamente- deciso di abbinare solo ai Preset di sviluppo (preset che dopo l’installazione del software vengono arricchiti di 16 nuove ricette). Perché stupidamente? Intanto perché molti non li usano, perché in futuro probabilmente verranno abbandonati in favore dei “Profiles” e perché lasciare libertà all’utente di cucirsi addosso i propri comandi preferiti sarebbe stato molto meglio.

Unica nota “positiva” di questi 8 tasti “castrati” è che sono programmabili in modo diverso quando si è dentro alla funzione “Crop” ed è possibile abbinarvi degli Aspect Ratio definiti (es. P1=1:1, P3=3:2, P4=4:5, ecc.)

Anche i 3 tasti in alto a destra sono “lievemente” personalizzabili, nel senso che è possibile scegliere alcune varianti delle funzioni per cui sono predisposti. Ad esempio al tasto Export è possibile abbinare la voce Export with Dialog, Export with Previous, Open with Photoshop, Print.

Tra l’altro il tasto Before/After settato come il comando “Before Only (Toggle)” è una delle feature che mi ha convinto a comprare la console in quanto usando la versione inglese con una tastiera italiana lo shortcut “\” non funziona e, a mio avviso, è una delle funzioni più comode e utili da usare (in passato avevo comprato questo plug-in per ovviare alla limitazione).

Ricapitolando:

  • 2x (Library + Develop)
    • 3 + 3 (con Fn) Tasti L
    • 6 +6 Tasti C
    • 8 + 8 Tasti P
    • 2 +2 knob D
  • Solo in Develop
    • 11 +11 knob in Custom Mode

Quasi 100 tasti!! Vi basta?! Vi dico subito che sono troppi e che se non la usiamo tutti i giorni, non ci ricorderemo mai tutte le combinazioni.

Il mio workflow

La disposizione dei tasti che ha dato la casa non mi è piaciuta molto e dopo vari tentativi di personalizzazione ho trovato la giusta configurazione.

Innanzitutto ho settato su L1 il toggle Develop/Library che mi fa passare da un ambiente all’altro; purtroppo non esiste un comando che da Develop mi fa tornare direttamente alla Grid Library (in pratica il tasto “G”, ecco dove servirebbe di nuovo il keystroke) e quindi ho dovuto sacrificare il tasto L2 per forzare il comando Grid (se mi trovo in Loupe mode) e il tasto L3 per fare il contrario.

La fase di scrematura foto avviene molto rapidamente avendo messo sui tasti C5 e C6 i comandi Flag Pick (“P e “U”) e Flag Reject (“X”) che essendo vicini alle frecce con cui spostarsi di foto in foto mi permettono con la mano destra di essere molto veloce. Con il bottone Screen Mode vado in Full Screen per una visione totale della foto e su C4 (in entrambi gli ambienti) attivo il toggle zoom in/out. Su Fn-C5, Fn-C6 ho settato il Filter Picked, Filter Unflagged, comandi che non hanno uno shortcut su tastiera e che mi vengono comodissimi e veloci.

Il flusso di selezione (volendo anche con stelline e colori) ha quindi un’ergonomia migliore in quanto prima i vari comandi erano sparsi in giro per la tastiera.

Si inizia ora con lo sviluppo RAW: entro nel modulo e la prima cosa che faccio è un C1 (Auto Tone), C2 (Upright: Auto) e Fn-C1 (Enable Lens Correction) tre operazioni che facevo sempre e che ora ci metto meno di un secondo a compiere. Parte poi tutta la serie di correzioni con i knob che come dicevo all’inizio sono molto più precisi del mouse e quindi ho un maggior controllo soprattutto nelle fasi di fine-tuning di highlight/shadow, black/white, texture/clarity (nei miei corsi insegno sempre a cambiare poco alla volta i valori, senza esagerare e centellinando le modifiche).

A proposito di Texture: purtroppo la console è uscita prima dell’avvento di questo nuovo controllo e insieme al Dehaze ho dovuto “giocarmi” le due personalizzazioni dei knob D1 e D2. Sotto Fn-D1 e Fn-D2 ho messo invece Sharpness Amount e Noise Reduction Amount e cosi facendo non ho ancora sentito la necessità di usare le 22 personalizzazioni a disposizione del Custom Mode (ogni tanto sento la mancanza del vignetting, ma lo uso veramente di rado).

Sempre durante lo sviluppo mi fa comodo controllare alcuni dati relativi allo scatto che spengo/accendo con il tasto C3 (show/hide info overlay) così come con Fn-C4 il Show/Hide Clipping per le zone bruciate o annegate (il C4 come detto lo tengo per lo zoom in/out).

Su L2 ho messo il picker (contagocce) del White Balance Custom e su L3 l’attivazione del Graduated Filter; a proposito, quando si è dentro un filtro (graduated, radial, brush) gli 11 dial tonali funzionano correttamente dentro il comando del filtro di maschera e non sulla foto in toto. Purtroppo c’è un bug (di Adobe dicono) per cui il comando Texture fa muovere lo slider Dehaze e il comando Dehaze lavora a livello globale e non sulla maschera.

Sotto Fn-L1, Fn-L2 e Fn-L3 ho messo lo Spot removal, il Radial Filter e l’Adjustment Brush. A proposito di quest’ultimo, sarebbe molto comoda una feature che fa si che il grande Control Dial serva per ingrandire la size del pennello e che il dial D1 serva per la grandezza del Feather; dico sarebbe perché funziona solo con la tastiera settata su English US/UK.

Avrei potuto personalizzare molti altri Fn-keys ma come dicevo se non sono funzioni che si usano spesso, si tende a dimenticarle e si fa prima ad andare di mouse e finestre.

Difetti e Bugs

Il bug maggiore che devo segnalare è legato al fatto che spesso entrando in LR la console non funzionava e mi ritrovavo quindi a fare stacca/attacca del cavo usb, a fare restart del software tramite il suo context-menu da tasto destro, o peggio ancora di dover killare il driver/software residente e poi farlo ripartire.

Dopo qualche mail scambiata col support e un’attenta diagnosi di quando succedeva ho capito che mi capitava sempre dopo un risveglio da sleep o hibernate del PC. Ed infatti il support mi ha confermato che “and has to do with how windows manages power after sleep mode. We unfortunately do not have a fix for this as it seems that this bug has more to do with the systems power management settings” (NdA pattern abbastanza classico dei devs: o colpa di Adobe o di Microsoft…😊). Visto che purtroppo non sviluppo raw tutti i giorni non essendo il mio mestiere è una issue a cui posso passare sopra: tengo il cavo usb staccato e il giorno che lo uso, lancio LR e poi attacco il cavo, non mortale ma da segnalare.

Su altre recensioni ho letto che molti si lamentano che la plastica e la sensazione in generale del prodotto è un po’ cheap e non in linea col costo. Concordo anche se devo dire che la versione Plus sembra già molto migliore della precedente e finora non ho notato imperfezioni o disallineamenti dovuti a cattiva qualità dei materiali.

Dei piedini per alzarla, come hanno alcune tastiere, sarebbero stati molto ben accetti, mentre la retroilluminazione a mio avviso sarebbe stata un qualcosa di troppo che magari avrebbe fatto aumentare ancor di più il costo (tanto anche al buio la luce del monitor sovrastante è sufficiente per farci individuare i comandi).

Come dicevo prima, imputo un grave difetto, la mancata possibilità di assegnare tasti, macro o di avere totale libertà di customizzazione. Visto che il software è fatto bene, non sarebbe stato difficile aggiungere queste features.

Altri software

Perché nel titolo parlo di “…e non solo”? Perché la console e il suo software possono essere usati anche con altri programmi oltre a Lightroom CC Classic ed in particolare per:

  • Adobe Camera Raw (il plug in di sviluppo raw uguale a LR dentro Photoshop sia come modulo di import che come Filtro)
  • Adobe Photoshop CC
  • Adobe Premiere Pro CC
  • Adobe After Effects CC
  • Adobe Audition
  • Capture One
  • Final Cut Pro X
  • Skylum Aurora HDR

Come funzionano all’interno di questi programmi non posso dirlo, in quanto la uso solo in LR. Sui manuali che si possono scaricare è possibile trovare come viene settata la Console di default e magari dopo qualche giorno di uso la cosa può venire comoda. Certo senza le label adatte io penso sia un po’ difficile ricordarsi la disposizione (es. in PS P1=burn, P2=dodge, D1=change layer opacity, ecc.) e tanto vale studiarsi i keyboard shortcuts ufficiali che non le assegnazioni dei tasti della console.

Conclusione

È un prodotto che ricomprerei ? SI!

Funziona meglio degli encoder MIDI da 50/100€ ? SI!

La tastiera e il mouse si usano ancora? Purtroppo SI, soprattutto la prima se come me ormai si sanno a memoria decine di shortcut, mentre il mouse è ancora necessario per scrollare il lungo panel di destra in cerca di comandi non mappati ed ovviamente per tutte quelle operazioni ad esempio sui filtri locali (graduati, radiali, brush) o anche solo per essere più veloci a croppare o raddrizzare.

Lo consigli a tutti gli utilizzatori di Lightroom? Sinceramente NO. La vedo molto bene per i professionisti (fotografi o chi ad esempi fa matrimoni e sviluppa moltissime foto alla volta) ma prima di tirare fuori i 200 e passa € necessari, chiedetevi se prima non sia meglio investirli in

  • La versione ufficiale e legale del Piano Fotografia di Adobe (LR + Photoshop) per quasi 2 anni
  • Una serie di Corsi e Libri sull’argomento
  • Un accessorio o obiettivo (o una parte del budget) del vostro corredo fotografico

Se avete già tutto quanto sopra e siete un fotocaz*oamatore nerd come me, allora la risposta è SI!

Nizza, la “smart city” al servizio dei cittadini

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Photo by asawin / CCO Public Domain La tecnologia può avere risvolti negativi, soprattutto quando se ne abusa. Ci sono però dei frangenti in cui il progresso tecnologico non può che essere considerato un elemento in grado di recare benefici e rendere le nostre vite più semplici. Un esempio tra tutti è il concetto di “smart city”, ovvero quelle città che grazie all’utilizzo di dispositivi all’avanguardia riescono a ottimizzare i propri servizi per i cittadini. Un processo, quello della “smartizzazione” delle città, che è in continua crescita e non accenna ad arrestarsi.

 New York, Barcellona, Londra e Singapore sono fra gli esempi più lampanti di questo processo, ma negli ultimi anni una località su tutte è emersa nel panorama delle città smart. Una località che si trova in una regione da sempre simbolo di lusso e intrattenimento, quella Costa Azzurra che però non è solo i casinò, gli alberghi e le ville di Caccia al Ladro, il lungometraggio Hitchcockiano passato alla storia come uno dei film più celebri sul mondo del gioco. La Costa Azzurra è anche una regione all'avanguardia dove a spiccare è Nizza, capitale economica e, soprattutto, "smart city" per eccellenza.

 Dal 2013 la città francese ha infatti dato il via a due progetti al cui centro vi è, rigorosamente, il cittadino, e che sono frutto di collaborazioni fruttifere tra gli enti locali e Cisco, azienda globale specializzata nella fornitura di apparati di networking. Il risultato? Una città intelligente che è entrata di diritto nella cerchia degli insediamenti urbani più moderni e avanzati del mondo.

Connected Boulevard

Photo by Pxhere / CCO Public Domain

Come suggerito dal nome stesso, Connected Boulevard è uno degli esempi più fulgidi di connessione tra dispositivi, dati e cittadini. L’obiettivo del progetto è quello di valorizzare la città attraverso un modello economico sostenibile che possa portare benefici alle persone e all’ambiente.

 Il primo punto è quello del traffico, migliorato sensibilmente da quando Connected Boulevard ha visto la luce. Nizza è una città caotica dove in media servono dai 20 ai 30 minuti per trovare parcheggio in centro. Negli ultimi anni però, grazie alla creazione di un app per telefono e tablet, dispositivi ormai essenziali per ogni viaggio, è possibile verificare i parcheggi disponibili in tempo reale. Una soluzione che rende più semplice la vita della popolazione locale ma anche dei turisti. Un circolo virtuoso che, inevitabilmente, porta benefici anche all’economia.

 I vantaggi si riscontrano anche nel campo dell’illuminazione. Il nuovo progetto permette un risparmio energetico di circa il 20% grazie a un sistema che è in grado di autoregolarsi. Un esempio su tutti? I lampioni che in caso di condizioni atmosferiche avverse emettono più luce e che, viceversa, diminuiscono la loro potenza in condizioni normali o quando c’è poco traffico.

 Infine va sottolineato come Connected Boulevard sia riuscito ad avere un impatto marcato sull’ambiente. I sensori forniscono informazioni in tempo reale sul livello dei rifiuti, rendendo più semplice il processo di raccolta, e sull’inquinamento, un dato essenziale per misurarne l’influenza sulla qualità di vita dei cittadini e adottare contromisure efficaci.

Spot Mairie

Se Boulevard Connected è riuscito a migliorare molti aspetti della vita, con Spot Mairie i cittadini ricevono un aiuto fondamentale su uno dei fronti notoriamente più tediosi e ingarbugliati, ovvero il rapporto con la Pubblica Amministrazione.

 Grazie a questo progetto il Nice Etoile, uno dei centri commerciali più importanti dell’intera città, diventa un punto di riferimento per chiunque debba vedersela con faccende quali la modifica dello stato civile o il permesso di parcheggio. Merito di uno spazio creato ad hoc per consentire un’interazione “vis a vis” tra il cittadino e un agente collegato in remoto, il cui volto appare su uno schermo, in grado di guidare l’utente attraverso i procedimenti. Il tutto attraverso strumenti moderni per visualizzare, stampare e inviare documenti. Un modo più diretto e interattivo rispetto al classico “call center” che in passato ha dimostrato di poter risultare più confusionario che altro.

Inoltre, tra le comodità e le agevolazioni di un servizio totalmente gratuito c’è anche la possibilità di sbrigare pratiche relative non solo al comune di Nizza ma anche all’Area Metropolitana della Costa Azzurra. Un fattore aggiuntivo che, in caso ce ne fosse ancora bisogno, non fa altro che consacrare la città come uno dei siti più avanguardisti dell’intero panorama mondiale.

Rinominare progetti e soluzioni in Visual Studio

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Spesso è necessario fare un po' di Name-Refactoring su una solution di VS2019 (ma penso che funzioni anche con VS2017) se si sono dati ai progetti dei nomi errati o che nel tempo abbiamo deciso di cambiare.

Nel mio caso specifico dovevo migrare dei progetti da .Net Standard a .Net Core e non essendoci in VS2019 la possibilità di cambiare il tipo di Framework dalle Properties del progetto ho dovuto creare un progetto nuovo, copiare i sorgenti, cancellare il vecchio e rinominare il nuovo.

Sebbene in VS facendo F2 (o tasto destro, Rename) sia possibile cambiare il nome del progetto (e immagino e spero le dipendenze negli altri), questo non è sufficiente, né per rinominare la folder che lo contiene, né per i namespace che hanno preso il nome del progetto.

L'unica è quindi andare a fare il lavoro a manina, facilitati dal fatto che fortunatamente sono tutti file ascii editabili o cambiabili con un tool.

Ecco il workflow

  1. Da dentro Visual Studio fare un bel Clean Solution
  2. CHIUDERE VS
  3. FARE UN BACKUP DI TUTTA LA CARTELLA DELLA SOLUTION COPIANDOLA DA QUALCHE PARTE (non si sa mai!!)
  4. io per sicurezza ho cancellato tutte le subdir Debug e Release (ed eventuali altre frutto di compilazione come Publish, netcoreapp, ecc) presenti nella BIN e nella OBJ di ogni progetto della solution; in questo modo il Find File lavora solo su file non binari
  5. Il mio progetto non era ancora in qualche repository, quindi ho cancellato senza problemi la cartella hidden .vs (eventualmente se ad es. lo avete in github, fate un git clean .fdx)
  6. Per ogni progetto da cambiare, rinominare la sua Root Folder e il corrispondente file .csproj che lo contiene (se usate un altro linguaggio .vbproj, .fsproj, ecc.)
  7. Lanciare un Tool di Search e/o di Replace e cambiare in tutti i file trovati le istanze di <oldname> con <newname>
  8. Riaprire la solution con le dita incrociate :-) A me comunque è andata bene!

Nota a margine sui tool da usare. Per quanto riguarda il Search uso da anni questo programmino (Effective File Search) diventato ora freeware che non mi ha mai tradito (al contrario del Search di windows che continuo a ritenere fallato!), mentre per il Replace utilizzavo un vecchissimo BK ReplaceEM (poi rinominato Replace Text) che ha qualche feature carina ma è ormai abbandonato da anni.

Ebbene, oggi ho scoperto che Notepad++, tool che uso comunque al posto del Notepad classico, ha la fantastica opzione Find in Files... (Ctrl-Shift-F) che funziona sia da Search che da Replace e funziona benissimo. Ecco perché bisognerebbe avere più tempo per studiare meglio i tool che si usano quotidianamente!

Un progetto reale Blazor per imparare il nuovo framework UI

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Se nell’ultimo anno non hai vissuto in un’isola deserta e ti occupi di sviluppo con tecnologie MS, saprai già cosa sia Blazor e forse concorderai con me che potrebbe essere una grande rivoluzione nel mondo delle WebApp/SPA (Single Pages Application). È vero, lo dicevano anche di Silverlight e di altri framework/plug-in/cazzilli che poi sappiamo che fine abbiano fatto.

Qui però mi sento di dire che siamo davanti a una cosa diversa e che potrebbe veramente fare la differenza ed essere lo strumento con il quale potremmo, nei prossimi 3/5 anni, avere a che fare maggiormente. Non illudiamoci che sia eterna, tutto avanza ed è giusto che ci sia un ricambio di tools/linguaggi per stare dietro alle nuove esigenze (o vogliamo rimpiangere VB6 e Cobol?).

Personalmente quando ho letto “basta JavaScript/TypeScript/jQuery e fratellini vari” e “non servirà più dover scegliere tra framework js come Angular, Vue, React”, prima mi sono asciugato le lacrime dalla commozione, e poi ho deciso che dovevo prendermi un po’ di tempo per approfondire e capire bene quanto ci sia dietro a questo nuovo framework.

Benedetta fu una lieve influenza che mi tenne in autunno 3 giorni a casa dove potei iniziare a giocarci: a 53 anni, e con 30 di IT sulle spalle, entusiasmarsi ancora per una nuova tecnologia e fare le 2 di notte finché non ti riesce di fare andare quel pezzo di codice non è del tutto scontato e soprattutto per la parte di Front End/UI pensavo ormai di essere “vecchio” e che non fosse più di mio appannaggio. Ecco, il primo grande merito di Blazor, imho è quello di ridare speranza a gente come me (dev ormai amatoriali) che è ancora possibile fare un’applicazione da zero full-stack conoscendo solo C# e HTML/CSS.

Il Progetto WST

Sono dell’avviso che per imparare una nuova tecnologia i piccoli esempi come Hello World o Counter alla fine servano poco, così come ovviamente partire con un progetto troppo grande come un CRM o una Intranet. Mi serviva quindi un progettino semplice ma che coprisse un po’ tutti gli ambiti di una app enterprise.  

Visto che ormai una demo o un progetto-test senza dei Dati meteo non si può considerare tale (anche il template ufficiale di un Blazor project usa i Weather Forecast) cosa c’è di meglio che provare a implementare qualcosa che magari ogni tanto ti viene utile?

Partendo quindi dalla disponibilità dei servizi OpenData della Provincia di Bolzano e dal lavoro che avevo già iniziato lo scorso anno per un progetto su PowerBI, ho buttato giù un po’ di “pages” ognuna con una sfida diversa per quanto riguarda  l’approccio al framework Blazor Server Side; ho scelto infatti il primo dei due flavours, in quanto quello client-only basato su WebAssembly è disponibile solo in preview e preferisco concentrarmi su cose che siano in RTM e usabili in produzione (se devo anche preoccuparmi dei bug delle preview siamo a posto...).

È nato quindi BLAZOR WST, acronimo di Weather South Tyrol (o Wetter Süd Tirol volendo, MAA non sarebbe stato politically correct e sembra più un’espressione dubbiosa…) una webapp che potrebbe venirmi anche utile: guardare l'evoluzione della temperatura (odierna o di ieri o dell'anno scorso come paragone) per sapere come vestirsi prima di uscire per un giro in bici; verificare le condizioni di vento o neve prima di una sciata; togliersi qualche curiosità statistica per confermare o smentire teorie o leggende, ecc.

Dal menu di sinistra ecco quindi la lista delle pagine e dei vari temi riguardanti la parte tecnologica.

Pagina

Scopo

Concetti Blazor

Misure per Stazione

Ritorna la situazione “attuale” (l’ultima rilevazione, max 10 minuti fa) oppure nel passato di una singola stazione dando anche la sua posizione in due viste di GoogleMaps

 

EditForm, Validazione, one-way e two-way binding, eventi, lifecycle della pagina,

component riutilizzabili (es la card del sensore, la mappa, il Pageheading con titolo e sottotitolo). Bind vs OnChange.

Misure per Sensore

Ritorna per ogni stazione  la situazione “attuale” (l’ultima rilevazione, max 10 minuti fa) oppure nel passato di un singolo sensore.

Custom DataGrid (una semplice table con colonne sortable)

Trend

Grafici della tendenza di un sensore secondo varie misure

Recupero dati server-side da un database, EF Core 3.1 Code First, Chart libreria DevExpress

Top Records

Recupero dei valori “top” di alcuni sensori

Uso di View e Stored Procedure con EF Core (Keyless Entity Type)

Mappa Stazioni

Mappa delle stazioni divise per tipo

Uso di Google Maps con JsInterop con Markers e InfoWindow.

Contact

Feedback form con spedizione Messaggio via mail

Validation, spedizione mail con System.Net (riuso di una mia vecchissima libreria .Net 4.5…. funziona anche quella!)

 

My 2 cents on Blazor

TL;DR => è una figata!

Scherzi a parte, scrivere una SPA con Blazor è veramente divertente e facile anche se alcune cose non sono proprio rose e fiori. L’error handling ad esempio non mi piace particolarmente in quanto talvolta devi usare la console dev del Browser (se hai settato bene CircuitOptions.DetailedErrors), talvolta esce una pagina di IISexpress altre volte devi arrangiarti a capire in che punto il tuo codice si è fermato. Dal punto di vista della velocità di sviluppo della parte puramente HTML, se fai partire l’app con CTRL-F5 (senza debug) puoi fare una specie di Edit & Continue ma il tempo di reload della SPA è abbastanza lungo (con la versione server-side) e quindi banali aggiustamenti di margin/padding, immagini, ecc. diventano fastidiosi.

To code-behind or not ? In questo progetto, per pigrizia, ho evitato di usare l’approccio con la parte .cs esterna e ho tenuto html/razor/c#  tutto in un’unica pagina (@code {} )…Mah! Mi viene da sorridere quando penso che siamo partiti dalle pagine ASP classic, poi -letteralmente inorriditi dallo spaghetti code- siamo passati alle Web Forms e MVC (separazione assoluta) per poi piano piano attraverso Razor Pages e ora Blazor tornare alla commistione di elementi.

Se dobbiamo sicuramente toglierci il cappello per come Blazor sia stato concepito e riesca a funzionare così bene (un processo server-side che comunica via SignalR solo i delta di cosa è cambiato nel DOM ha del miracoloso!) c’è da dire che ogni tanto non è così facile capire il suo Lifecycle, soprattutto se infarciamo i nostri metodi di operazioni asincrone. Spesso i nostri componenti custom non sono ancora disponibili se vogliamo cambiarne qualche parameter properties (tra l’altro solo attraverso un metodo perché l’uso diretto è deprecated), e talvolta mi è capitato per disperazione di spargere una manciata di StateHasChanged()  come si faceva con DoEvents in VB :-)

Infine il deploy...abituati a buttare su il singolo file aspx o cs modificato, qui le cose si fanno più complicate. È vero che il comando Publish viene molto in aiuto, ma per ogni piccolezza di modifica (a parte sui file contenuti nella wwwroot) bisogna ri-pubblicare/copiare, stoppando il sito da IIS (altrimenti la dll non è sovrascrivibile).

Javascript non si usa veramente più?

Purtroppo no… Ho cercato di limitare veramente al minimo l’uso di JSInterop, ma per la parte relativa alle Google Maps è stato d’obbligo farci ricorso. Gli stessi Admin Template (volevo usarne uno molto famoso e ricco come quelli di Metronic) sono infarciti di jQuery per operazioni banali come aprire e chiudere una sidebar o gestire il responsive del layout. Scrivere componenti Blazor js-free sarà la sfida (e forse il business) del futuro ed infatti le grosse società di componenti (DevExpress, Syncfusion, Telerik) ci si sono già buttate dentro.

Documentazione, Books, Social, Hype

Il successo di una tecnologia si misura anche da quanto materiale si trova in rete sia in termini di documentazione che di user-generated-content su social, forum, stackoverflow, ecc. E devo dire che in pochi mesi l’hype per Blazor è molto cresciuto. Ho comprato i libri di Michael Washington e di Jon Hilton per un approccio iniziale ad esempi (e per ringraziarli economicamente della loro opera di sharing). Mi è piaciuto molto questo libro di Daniel Roth, anche se è incompleto e attendo avidamente la versione definitiva, mentre ammiro molto Steve Sanderson che tiene una demo di un’ora senza un minimo di tentennamento o pausa.

Oltre Blazor

A contorno di Blazor ho rinfrescato/imparato/approfondito diverse tecnologie a conferma del fatto che ormai per scrivere una semplice webapp sono necessarie molte competenze che spaziano dal Front-End, al Back-End e alla parte sistemistica.

Entities e Biz

Ogni buon progetto dovrebbe iniziare dalla modellazione delle entità di Dominio e così ho fatto creando classi POCO relative a Stazioni, Tipi di Sensori, Misurazioni, ecc. Queste entità sono ovviamente state usate in tutti i progetti della Solutions (i servizi API, il Biz, la UI, una console app che ogni notte si salva i valori di una particolare stazione e calcola le medie/max/min giornaliere per tutte le 120 stazioni e i 15 sensori). Il Business Layer è ovviamente colui che fornisce ai vari strati le varie List<> o i singoli oggetti implementando regole e eventuali validazioni server-side.

WebAPI wrapper

I dati, come dicevo all’inizio, provengono da webservices esposti dal sito della Provincia di Bolzano. Non piacendomi però la struttura e il naming che avevano dato, ho scritto una serie di servizi REST  ASP.NET Core 3 che espongono mie entità. Cosí facendo inoltre mi sono messo al riparo sapendo che i miei servizi implementano CORS (Cross-origin resource sharing, requisito obbligatorio per la versione Blazor Client Side) cosa che non ero sicuro per quelli esterni.
Ho usato solo la “nuova” System.Text.JSON al posto del collaudato e famoso JSON.Net di Newtonsoft senza particolari problemi (occhio solo che per default è case sensitive). Tutte le chiamate allo strato dei servizi avvengono quindi su una mia WebAPI che a occhio e croce introduce solo un piccolissimo overhead rispetto alla fonte originale.

Per documentarli tramite la Swagger UI ho scelto NSwag (senza nessun valido motivo rispetto a Swashbuckle).

EF Core 3.1

Dovendo/volendo usare dei dati presenti in un Database SQL ho esplorato per la prima volta a fondo l’approccio Code First. Da purista del Db, sono sempre partito con la modellazione delle tabelle e poi tramite scaffold ricavavo le entities. Oggi però sembra sia di moda e con certi vantaggi l’approccio opposto ed in effetti concentrarsi sul Domain Model e poi sul repository ha un senso. Quello che mi lascia un po’ perplesso è se le Migration che creano e soprattutto tengono aggiornato lo schema del DB siano sempre impeccabili. Con poche tabelle e senza dati dentro, tutto è sempre filato liscio, ma temo che in un db molto complicato e con l’impossibilità di spaccare integrità referenziali per fare un ALTER TABLE comincino a sorgere problemi.

Per motivi didattici ho mischiato un po’ di DataAnnotation e un po’ di Fluent Api; ovviamente la seconda è da preferire per mantenere pulite e linde le Entità e certe cose (indici, computed columns, keyless entity, ecc.) le si possono fare solo con quelle.

Bootstrap 4

Per quanto riguarda l’aspetto grafico sono partito da un semplice template di admin mischiato con quello del template standard di Microsoft entrambi basati su Bootstrap 4: il famoso framework UI sebbene faciliti molto il layout della pagina, talvolta mi lascia ancora molto perplesso su come dopo 30 anni di HTML/CSS ancora non esista qualcosa di più semplice che non dover imparare decine di nomi di classi per fare operazioni banali. È ovvio che è molto comodo fare un mb-0 per impostare un margin bottom nullo, ma quando vedi cose del genere solo per uno stupido searchbox

ti chiedi cosa sia andato storto nell’evoluzione dell’HTML/CSS. Talvolta invidio molto chi usa Wix/Squarespace e compagnia bella e il loro drag-n-drop.

Let's Encrypt

Ormai avere anche il più banale dei siti non in https sembra essere peccato mortale e quindi, non volendo investire in un certificato a pagamento, ho testato gli SSL free di Let's Encrypt con questa comodissima applicazione (Win Acme) che fa tutto lei direttamente dentro IIS. Semplicissimo e veloce.

Conclusioni

I’m in Love with Blazor! C’è poco altro da dire. Quasi sicuramente sarà la nostra scelta aziendale per un grosso progetto software che ci terrà impegnati tutto il 2020. Presumo che questo non sarà l’ultimo post sull’argomento.

 

Report, Dashboard, BI e UI ai tempi del CoronaVirus

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Ieri sera, venuto a conoscenza della disponibilità di una fonte dati ufficiale proveniente dal Repository Ufficiale Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile,  mi sono auto-lanciato una sfida per confermare che Blazorè finalmente la piattaforma web con la quale possiamo fare velocemente delle Single Page Application senza troppi fronzoli. Il challenge appunto era: costruire in 105 minuti (il tempo di una partita di calcio che guardavo con un occhio mentre con l’altro programmavo) un semplice report fatto da un grafico e da una data-grid sull’evoluzione del Covid19 in Italia.

Per quanto mi riguarda, “missione compiuta” (mentre per quanto riguarda la mia squadra stendo un velo pietoso :-(  )

https://covid19.rizzetto.com/

Ovviamente non potevo pretendere di avere mille funzioni e soprattutto una grafica degna di questo nome (il template è quello standard di Microsoft per i progetti Blazor) e quindi oggi mi è venuta voglia di stilare una “directory” di siti che si distinguono per la capacità grafica e di usability nel fornirci le informazioni che stiamo purtroppo consultando di ora in ora.

Coronavirus COVID-19 Global Cases by Johns Hopkins CSSE

https://www.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/bda7594740fd40299423467b48e9ecf6

Basata sulla piattaforma di Esri ArcGis Online (definito il il software di analisi e di mapping più potente del mondo) è forse la più conosciuta e usata. Non so se la UI/UX è data da un template o quelli del CSSE se la sono costruito, sta di fatto che è molto piacevole. Dark Skin come va molto di moda oggi (#Greta docet), panels ben proporzionati e informazioni che servono subito in evidenza, ovvero quello che dovrebbe essere una dashboard.

Dipartimento della Protezione Civile

https://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1

Anche questa basata su ArcGis e direi molto simile alla precedente (ecco perché mi viene il dubbio che sia un template standard); non per fare l’esterofilo, ma mi piace meno della precedente; quel panel in basso a sinistra riempito solo con il logo mi pare poi un po’ “sprecato”.

Il Sole 24 ore

https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/ 

Una dashboard veramente ben fatta, complimenti agli autori che seguono questo Lab24 che ho scoperto colpevolmente solo oggi

Covid19 report con PowerBI

https://aka.ms/covidreport

Non poteva mancare ovviamente un esempio fatto con la famosa piattaforma di Self-Service-BI di Microsoft e l’autore Andrea Benedetti devo dire ha fatto un eccellente lavoro dal quale traspare la sua competenza e le potenzialità di questa tecnologia. Unico "difetto" imho la poca visibilità del pager per cambiare slide laggiù in basso nel footer.

Novel Coronavirus by HealthMap

https://www.healthmap.org/covid-19/

L’evoluzione animata della diffusione del virus in questa mappa 

Covid-19 explained

https://multimedia.scmp.com/infographics/news/china/article/3047038/wuhan-virus/index.htm

Un articolo del South China Morning Post che oltre a mappe e dati riporta una pletora di info interessanti sulla genesi e gestione della malattia ovviamente in Cina. Infografiche, impaginazione, foto e video veramente ben fatti. 

Mapping the novel coronavirus outbreak

https://coronavirus-disasterresponse.hub.arcgis.com/app/15d32b80d59542dd9e0a3b60ccc8e466

Un altro esempio di articolo che ingloba contenuto editoriale, mappe e dati, il tutto ottimamente orchestrato e sincronizzato durante lo scroll verticale.

 

Il post è ovviamente pronto per qualche aggiornamento nel caso trovassi (o mi segnalate voi nei commenti) qualche altro esempio di report ben fatto...

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